Rientro al lavoro dopo la paternità: da cambiare pannolini a cambiare cravatte

Il rientro al lavoro dopo la paternità è analizzato come un momento di transizione significativo, con suggerimenti su come gestire il cambiamento dal ruolo genitoriale a quello professionale in modo equilibrato.

Nella discussione sul delicato equilibrio tra lavoro e vita familiare, spesso la paternità e il rientro al lavoro restano in secondo piano. Mentre molto è stato detto e scritto sulla maternità e sulle sfide che le donne affrontano nel conciliare la carriera con la famiglia, l’esperienza dei padri è altrettanto importante e merita attenzione. 

L’evoluzione dei ruoli di genere e delle aspettative sociali ha portato a una crescente consapevolezza sull’importanza del coinvolgimento dei padri nel ruolo di neogenitori e la crescita dei figli.

In questo articolo vedremo nel dettaglio come funziona il congedo parentale e cosa significa per un padre il rientro a lavoro.

Diritti di paternità sul lavoro

I neopapà lavoratori godono di diritti che permettono loro di prendersi cura dei figli in determinate situazioni. 

Ne sono un esempio il congedo parentale e il congedo di paternità obbligatorio durante e al termine del quale il padre lavoratore ha diritto a:

  • conservare il proprio posto di lavoro;
  • rientrare nella stessa unità produttiva in cui lavorava all’inizio del periodo di congedo;
  • essere assegnato alle stesse mansioni precedentemente svolte o a mansioni equivalenti.

Insieme a eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi o dalla legge.

Come funzionano i 10 giorni di paternità?

Il congedo di paternità obbligatorio rappresenta un importante passo avanti nella promozione dell’equità tra genitori, offrendo ai padri la possibilità di partecipare attivamente alle prime fasi della vita del figlio e garantendo loro un adeguato sostegno finanziario in questo periodo.

Vediamo in cosa consiste e come funziona. 

In base a questa normativa, i padri lavoratori possono godere di 10 giorni di congedo di paternità obbligatoria, che si estendono a 20 giorni nel caso di parto plurimo

L’indennità giornaliera prevista per il congedo di paternità obbligatorio, ammonta al 100% della retribuzione del padre lavoratore. Questo permette ai padri di prendersi cura del loro nuovo nato senza subire perdite significative del proprio reddito.

Quando il padre può usufruire del congedo parentale?

I 10 giorni di congedo parentale obbligatorio possono essere fruiti in un arco temporale che va dai 2 mesi precedenti la data prevista per il parto, fino ai 5 mesi successivi alla nascita del figlio. La stessa finestra temporale si applica anche alle situazioni di adozione, affidamento e collocamento temporaneo.

Un elemento importante da sottolineare è che il congedo non può essere frazionato a livello orario; piuttosto, può essere suddiviso in giorni interi, garantendo ai padri un periodo significativo per la cura del neonato. Inoltre, questo congedo può essere fruito anche in caso di morte perinatale del figlio, garantendo ai padri un adeguato sostegno in momenti di grande difficoltà.

Come comunicare al datore di lavoro la paternità?

Per richiedere il congedo di paternità, il lavoratore deve presentare una domanda al datore di lavoro e all’INPS, fornendo la documentazione necessaria che attesti una delle situazioni sopra menzionate. 

Inoltre, per usufruire del congedo, il lavoratore deve comunicare per iscritto al datore di lavoro i giorni prescelti con un preavviso di 15 giorni.

Paternità a lavoro e congedo parentale

Il congedo parentale è un importante diritto che consente a entrambi i genitori di prendersi cura dei loro figli e di partecipare attivamente alla vita familiare durante i primi anni di vita. 

Le normative riguardanti il congedo parentale sono state notevolmente modificate per promuovere una maggiore flessibilità e un coinvolgimento più attivo dei genitori nella cura dei figli. 

Secondo le nuove disposizioni i genitori lavoratori possono usufruire del congedo parentale nei primi 12 anni di vita del figlio (prima della riforma erano 8),con un totale di 10 mesi a disposizione, frazionabili o utilizzabili in modo continuativo. Durante tale periodo i genitori hanno diritto a una indennità a carico dell’INPS, generalmente anticipata dal datore di lavoro, pari al 30% della retribuzione.

All’interno di questo limite complessivo di 10 mesi, i padri lavoratori possono prendere il congedo parentale dalla nascita del figlio per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi. Tuttavia, se il padre decide di astenersi dal lavoro per almeno 3 mesi, il periodo di congedo può essere esteso a 7 mesi.

Inoltre, per i padri che abbiano figli con gravi disabilità, è prevista la possibilità di prolungare il congedo parentale per un massimo di 3 anni, condividendo le responsabilità di cura con la madre, oppure possono beneficiare di un permesso giornaliero di 2 ore retribuite nei primi 3 anni di vita del bambino. 

Perché il congedo di paternità?

Uno studio condotto nel 2014, ha dimostrato che strutturare l’esperienza iniziale della paternità per gli uomini in modo simile a quanto spesso avviene per le donne, ossia liberandoli dalle responsabilità lavorative e coinvolgendoli appieno nella genitorialità, consente loro di sviluppare il tipo di responsabilità genitoriale che li rende co-genitori attivi

Essere presenti fornisce una comprensione di ciò che deve essere fatto, mentre l’esposizione prolungata consente la partecipazione e la pratica. Di conseguenza, i padri possono passare dal ruolo di assistenti a quello di co-genitori.

Rientro a lavoro dopo la paternità: le sfide psicologiche

Il rientro al lavoro dopo la paternità è spesso un momento complesso, accompagnato da una serie di sfide psicologiche per i padri. 

Nonostante la letteratura scientifica non offra informazioni dettagliate a riguardo, secondo la pratica clinica si potrebbero ipotizzare le seguenti sfide e conseguenze psicologiche.

  1. Ansia e senso di colpa

Una delle principali sfide è quella di gestire il senso di colpa e l’ansia legati alla separazione dal proprio bambino. Durante il congedo di paternità, i padri sviluppano un legame profondo con il neonato, diventando parte integrante della routine quotidiana di cura. Tornare al lavoro può generare una sensazione di distacco e la paura di perdere momenti cruciali nella crescita del bambino.

  1. Pressioni e aspettative sociali

I padri spesso si trovano a dover affrontare la pressione sociale e le aspettative che ruotano attorno al ruolo di genitore. La società tradizionalmente ha posto un’enfasi maggiore sul ruolo delle madri nella cura dei figli, mentre i padri sono stati visti principalmente come fornitori finanziari. Questo dualismo può far sorgere dubbi e incertezze nei padri sul loro ruolo e sulle aspettative degli altri nei loro confronti.

  1. Aumento dell’impegno nel lavoro 

Il rientro al lavoro può anche comportare la sensazione di dover dimostrare il proprio impegno sul posto di lavoro. Alcuni uomini temono che il tempo dedicato alla famiglia venga interpretato come un segno di disimpegno o riduzione dell’efficienza professionale. Pertanto, si sforzano di dimostrare di essere altrettanto dedicati e competenti come prima, spesso lavorando oltre l’orario o evitando di prendere ulteriori congedi.

Rientro a lavoro dopo la paternità: gelosia verso la partner

Il rientro al lavoro dopo la paternità, in alcuni casi, può portare a sentimenti di gelosia nei confronti della partner.

Alcuni padri potrebbero sperimentare momenti di insicurezza quando vedono la madre e il bambino trascorrere molto tempo insieme dopo il suo rientro dalla paternità.

Questi sentimenti di gelosia possono essere innescati da diversi fattori, tra cui:

  • senso di esclusione;
  • senso di perdita.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che questi sentimenti di gelosia non sono insormontabili e possono essere affrontati in modo costruttivo. Comunicare apertamente con la partner sulle emozioni e le sfide affrontate è il primo passo per superare questi sentimenti.

Inoltre, i padri possono trovare modi per essere coinvolti nella cura del bambino anche quando sono al lavoro, ad esempio, mantenendo una comunicazione regolare o partecipando alle attività quotidiane quando sono a casa.

Trovare il giusto equilibrio tra le esigenze del lavoro e la necessità di essere presenti per la famiglia può generare stress e tensioni. 

In questo contesto, richiedere un supporto psicologico è un passo importante per i padri che affrontano sfide durante il rientro al lavoro dopo la paternità.

La terapia può fornire un ambiente sicuro in cui i padri possono esplorare i propri sentimenti, paure e ansie in un contesto confidenziale. Un terapeuta esperto può aiutare i padri a sviluppare strategie di coping per affrontare il senso di colpa, l’ansia la gelosia e le pressioni esterne. Può essere utile anche se la madre non vuole tornare a lavoro dopo la maternità.

La terapia online offre un’opportunità preziosa, consentendo ai padri di accedere a supporto professionale comodamente da casa o dall’ufficio, risparmiando tempo prezioso. Questo approccio flessibile si adatta facilmente agli impegni lavorativi e familiari.

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Ludovica Feliziani

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Descrizione
Anima solare e (quasi) psicologa clinica, sono la blog manager di Serenis. Qui unisco il mondo della psicologia a quello del copywriting. Credo nell'importanza di imparare dagli errori, nella comunicazione aperta e nella condivisione, cuore di tutto ciò che faccio.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.