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Crediamo che iniziare un percorso di supporto psicologico debba essere una scelta consapevole. Per questa ragione, abbiamo deciso di pubblicare sul nostro sito il Codice deontologico della professione psicologica: è il testo che stabilisce le regole di condotta che devono essere rispettate da ogni psicologo, psicologa e psicoterapeuta.

Per maggiore trasparenza, abbiamo inserito un commento sotto ogni articolo: ti darà un’idea più chiara del suo significato.

I - Principi generali

Articolo 1

Le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare. Le stesse regole si applicano anche nei casi in cui le prestazioni, o parti di esse, vengano effettuate a distanza, via Internet o con qualunque altro mezzo elettronico e/o telematico.

Questo codice deontologico è il documento che regolamenta la professione psicologica in Italia. L’ignoranza non è ammessa: ogni professionista del settore deve conoscerne gli articoli e rispettarli.

Articolo 2

L’inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure stabilite dal Regolamento disciplinare.

La deontologia professionale sta alla base dell'amore verso la disciplina psicologica. È doveroso avere cura della materia e del proprio ruolo: non farlo significa subire sanzioni disciplinari.

Articolo 3

Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.

Le psicologhe e gli psicologi hanno una forte responsabilità sociale nei confronti degli individui e della comunità. Per questa ragione, è fondamentale che lavorino in modo appropriato, senza approfittare della fiducia a loro accordata.

Articolo 4

Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.

Il rispetto della diversità e dell'individualità del prossimo è l'elemento chiave e fondante della disciplina psicologica. È doveroso tutelare ogni persona che si affida a un trattamento psicologico. Chi fa questo lavoro deve rifiutare ogni tipo di iniziativa che lede i principi descritti.

Articolo 5

Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera. La violazione dell’obbligo di formazione continua, determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale. Riconosce i limiti della propria competenza e usa, pertanto solo strumenti teorico – pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.

Vista la grande responsabilità sociale, ogni professionista della salute mentale deve studiare e aggiornarsi costantemente. Deve inoltre usare solo gli strumenti che conosce e applicare solo le metodologie che ha studiato.

Articolo 6

Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.

Ogni professionista della salute mentale deve anche rispettare la professione che esercita. In altre parole, non attua comportamenti che possano svalutare il suo lavoro o il codice deontologico.

Articolo 7

Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed attendibile.

Questo articolo si rivolge a coloro che fanno ricerca accademica. Ricorda di rispettare i gradi di validità e attendibilità degli strumenti di ricerca e dei dati raccolti.

Articolo 8

Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive.

Gli psicologi e le psicologhe possono esercitare solo dopo aver superato l'esame di Stato per l'abilitazione, e aver completato l'iscrizione all'Albo degli Psicologi della regione in cui intendono esercitare. La psicoterapia può essere esercitata solamente da psicologi e medici che hanno completato una formazione specifica.

Articolo 9

Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato, anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso.Nell’ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed all’anonimato.

L'elemento chiave dell'attività psicologica è il consenso informato, che prevede la trasparenza dell'intervento (psicoterapeutico o di ricerca). Nell'articolo 9 si fa riferimento al consenso espresso liberamente da chi partecipa a una ricerca, che dev’essere al corrente del disegno sperimentale in toto.

Articolo 10

Quando le attività professionali hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a rispettarne la natura e a evitare loro sofferenze.

Si parla sempre di ricerca. Questo articolo ricorda che in questa attività è fondamentale rispettare la vita degli animali ed evitare di farli soffrire.

Articolo 11

Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.

Un altro caposaldo della disciplina è il segreto professionale. Con questo principio, si stabilisce che ogni terapeuta non può rivelare, al netto delle eccezioni specificate negli articoli successivi, le informazioni, i fatti e le notizie che apprende durante le sedute.

Articolo 12

Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.

La necessità terapeutica viene prima di quella giudiziaria: il segreto professionale non può essere violato neanche in caso di processo, a meno che il/la paziente non dia il permesso, in forma scritta e documentabile, di rivelare informazioni sensibili.

Articolo 13

Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.

In caso di pericolo per la vita di un/una paziente o di terzi, il/la professionista può testimoniare, riducendo al minimo necessario le informazioni. Lo stesso ragionamento si applica se ha l’obbligo di referto o di denuncia.

Articolo 14

Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad informare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale intervento. È tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di ciascuno alla riservatezza.

Il tema del consenso informato viene esteso anche agli interventi di gruppo, dove è importante chiarire subito il funzionamento e le regole. Inoltre, ogni professionista deve far sì che le persone che fanno parte del gruppo rispettino la privacy di ogni partecipante.

Articolo 15

Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.

La riservatezza e il segreto professionale devono essere mantenuti il più possibile anche quanto ci si trova a lavorare in equipe con chi deve rispettare lo stesso regolamento.

Articolo 16

Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.

Il segreto professionale è tale anche quando si scrive un articolo. Il nome di chi partecipa a un esperimento o una seduta va sempre omesso.

Articolo 17

La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale.Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche. Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega ovvero all’Ordine professionale.Lo psicologo che collabora alla costituzione ed all’uso di sistemi di documentazione si adopera per la realizzazione di garanzie di tutela dei soggetti interessati.

Ogni psicologo, ovunque e in qualsiasi modo lavori, deve mettere in atto una serie di accortezze per conservare in modo appropriato e sicuro i dati personali.

Articolo 18

In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.

La relazione tra professionista e paziente è asimmetrica. Per questo motivo è importante che ogni paziente sia consapevole e abbia tutte le informazioni per esercitare liberamente la propria scelta.

Articolo 19

Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.

In questo caso, il codice si rivolge a chi lavora in un contesto di selezione e valutazione, come per esempio gli psicologi che lavorano nelle aziende o negli enti di formazione. Queste persone non devono operare al di fuori della propria specifica competenza.

Articolo 20

Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale.

Il codice deontologico deve essere oggetto di studio e approfondimento anche in campo didattico: è importante divulgare gli articoli del codice a chi studia la disciplina.

Articolo 21

L’insegnamento dell’uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave. Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all’attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo. Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici. È fatto salvo l’insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitari in psicologia e ai tirocinanti. È altresì fatto salvo l’insegnamento di conoscenze psicologiche.

Ogni professionista si impegna a non insegnare le metodologie e gli strumenti della disciplina riservati a chi si occupa della professione, al di fuori dei corsi di studio e dei tirocini.

II - Rapporti con l’utenza e con la committenza

Articolo 22

Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sé o ad altri indebiti vantaggi.

L'abuso della professione per ottenere qualche beneficio di qualsivoglia natura va contro il codice deontologico.

Articolo 23

Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera. In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale.

È dovere di ogni professionista mettere in chiaro sin da subito le condizioni economiche del trattamento di supporto psicologico.

Articolo 24

Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.Questo articolo spiega che l’esercizio della professione deve attuarsi nei confronti di persone che siano adeguatamente informate circa le attività che verranno svolte. Tra queste informazioni ci sono la modalità della prestazione, lo scopo, i pro, i contro e, quando possibile, una durata ipotetica.

Articolo 25

Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei soggetti.

Si parla dell’intervento diagnostico e valutativo: è fondamentale informare ogni paziente di quello che si sta facendo e dei suoi risultati.

Articolo 26

Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte.Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l’efficacia.

Questo articolo è fondamentale per la pratica clinica: è necessario che tra paziente e professionista non ci siano rapporti di parentela, amicizia o trascorsi personali.

Articolo 27

Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.

Un caposaldo della pratica clinica e dell'etica professionale è la volontà di proporre l'interruzione del percorso, nel caso in cui ci si renda conto dell’assenza di possibili margini di miglioramento.

Articolo 28

Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.

Ogni professionista si impegna a mantenere distinte la vita lavorativa e quella privata. La prestazione psicologica può essere danneggiata dalla familiarità, dalla scarsa obiettività, dalla mancanza di distacco e dalla tentazione di tutelare i propri interessi emotivi, sentimentali e sessuali.

Articolo 29

Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale.

È possibile posporre l'intervento se il o la paziente si sta servendo di altri presidi di cura per determinate ragioni.

Articolo 30

Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali..L’unico onorario che è possibile ricevere è quello che deriva dalla prestazione psicologica.

Articolo 31

Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.

Ogni paziente minorenne può iniziare un percorso di cura psicologica solo con il consenso informato dei propri genitori, o di chi ne fa le veci.

Articolo 32

Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e le finalità dell’intervento.

Ogni professionista deve sempre spiegare ai e alle pazienti la natura e le finalità dell’intervento, anche quando questo è stato commissionato da terzi.

III - Rapporti con i colleghi

Articolo 33

I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.

Si parla del principio di “colleganza”, che presuppone il rispetto tra professionisti, la condivisione dei valori comuni, il mutuo sostegno e la responsabilità sociale.

Articolo 34

Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e sociale.

È importante escludere dai rapporti di colleganza un certo tipo di egoismo intellettuale: chi fa una scoperta deve informare la comunità professionale, in modo da condividere la conoscenza e i benefici.

Articolo 35

Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli altrui contributi.

Quando si pubblica una ricerca, è indispensabile includere la bibliografia.

Articolo 36

Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.

È bene evitare i giudizi sulla professionalità altrui, soprattutto se questi giudizi hanno lo scopo di sottrarre pazienti. Ed è obbligatorio segnalare all'ordine gli episodi di questo tipo ai quali si assiste.

Articolo 37

Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze. Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista.

Quando non si può seguire una persona, perché non se ne hanno le competenze, è bene suggerire a quella persona un’alternativa valida, presso la quale poter iniziare il percorso.

Articolo 38

Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.

Nell’esercizio della professione, bisogna evitare di adottare comportamenti lesivi del decoro e della disciplina.

IV - Rapporti con la società

Articolo 39

Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.

È doveroso produrre e diffondere informazioni chiare, corrette e puntuali sulla disciplina e sulle proprie competenze.

Articolo 40

Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela. In ogni caso, può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell’Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione. La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituisce violazione deontologica.

La pubblicità è consentita, nel rispetto del decoro, dell’etica, del buon senso e del codice deontologico.