Secondo il DSM V la disforia di genere si manifesta attraverso un forte disagio dovuto a un’incongruenza tra l’identità di genere di una persona e il sesso assegnatole alla nascita, cioè quello determinato dai cromosomi XX o XY. La disforia di genere viene anche definita “incongruenza di genere”.
Sesso e identità di genere, infatti, sono due cose diverse. Il sesso si riferisce alle caratteristiche fisiche e biologiche ricevute alla nascita, mentre l’identità di genere corrisponde al senso di appartenenza che percepiamo verso uno dei generi possibili (o verso nessuno di essi).
Nella comprensione delle sfumature dell'attrazione, la sapiosessualità riflette un'attrazione primaria per l'intelletto, mentre la demisessualità descrive la necessità di un forte legame emotivo prima di provare desiderio sessuale.
Nel 2013, l’anno in cui il DSM V sostituì il termine “disturbo” con quello di “disforia”, segna una tappa importante nella storia dei diritti umani: la patologia non dipende dal nostro non riconoscerci nel sesso assegnatoci, ma nella sensazione di disagio e di emarginazione che ne deriva.
Una curiosità: Harry Benjamin, un endocrinologo e sessuologo tedesco, nel 1966 pubblicò il testo “Il fenomeno transessuale”. Diffuse e rese popolare il termine, riuscendo a mettere in luce una condizione ancora poco studiata e presa sul serio: aprì la strada ai trattamenti ormonali per facilitare la transizione di genere.