Insicurezza: una gabbia che può diventare patologica

Affrontare l’insicurezza richiede auto-riflessione, pratiche di auto-compassione, riconoscimento delle proprie qualità e obiettivi realistici, oltre a cercare supporto sociale e professionale quando necessario.

Se ti trovi spesso in uno stato d’animo che ti blocca impedendoti di reagire, per paura di non essere all’altezza della situazione o perché immagini che qualunque cosa ti riservi il futuro finirà con un fallimento o una delusione, l’insicurezza (da non confondere con l‘incertezza o l’incoscienza) è un sentimento che ti è famigliare.

Alcune persone sono più predisposte di altre a svilupparla, ma il “sono fatto così” non deve diventare una gabbia dorata in cui rifugiarsi per non mettersi mai in gioco. L’insicurezza può migliorare lavorando su se stessi e di seguito ti spiegheremo come.

Che cos’è l’insicurezza

L’insicurezza è data quindi da aspettative negative verso il futuro, che portano a non agire o a non impegnarsi realmente in ciò che si fa perché ci si attende un fallimento. Il risultato è il fenomeno che prende il nome di profezia che si autoavvera: le nostre credenze condizionano il nostro agire fino al punto che diventiamo noi stessi gli artefici della nostra disfatta.

Si forma così un circolo di autosvalutazione che viene continuamente confermata dai propri insuccessi e che limita la possibilità di crescere e acquisire nuove risorse su cui fare affidamento. Questa condizione in cui continuamente immaginiamo un futuro di fallimenti qualsiasi tentativo facciamo, che puntualmente esita nella catastrofe, prende il nome di sindrome di Cassandra ed è l’emblema di come i nostri stessi paletti mentali dettati dall’insicurezza ci limitino.

Come riconoscere il problema di un’insicurezza patologica? Le continue svalutazioni possono essere strettamente correlate ad altri comportamenti, come l’autocensura, il reprimere e contenere tutte le emozioni e i pensieri. L’insicurezza può riguardare i più svariati ambiti, può essere specifica per alcuni oppure abbracciarli tutti. Alcuni esempi sono l’ambito lavorativo o di studio, quello relazionale e interpersonale, la realizzazione di sé o anche semplicemente il proprio aspetto fisico. Di conseguenza, le ripercussioni possono essere le più svariate, dal non procedere con la propria carriera all’abbandono dell’università o alla chiusura disfunzionale di una relazione.

Cosa causa l’insicurezza patologica?

Alla base di un vissuto di insicurezza intensa, quasi paralizzante, c’è uno scarso senso di autoefficacia. Questo concetto è strettamente collegato a quello di autostima e ha a che fare con la nostra convinzione di essere capaci, di avere le risorse per affrontare le difficoltà. Una bassa autoefficacia produce delle aspettative negative, ovvero di fallimento. La suggestione può giocare un ruolo significativo nel modellare le aspettative e influenzare il senso di autoefficacia, contribuendo alla formazione di convinzioni che possono influire sulle risposte emotive e comportamentali.

Inoltre, ci sono persone particolarmente sensibili al giudizio degli altri, che temono costantemente di non essere all’altezza delle aspettative altrui, di deluderli. Altre volte, invece, la paura è nei confronti di se stessi. Se sei una persona perfezionista, l’idea del fallimento ti spaventa, e quella del rifiuto ti appare forse insostenibile. Questi eventi negativi lasciano una ferita a chi nasconde la sua insicurezza dietro il tentativo di essere perfetto e l’immagine che hanno di sé è così fragile che basta un piccolo insuccesso per infrangerla.

Parallelamente, ciascuno di noi ha anche un modo diverso di vedere come si distribuiscono le responsabilità: un locus of control esterno è deresponsabilizzante, dal momento che addossa le colpe dell’insuccesso a qualcosa che non dipende da noi; un locus of control interno, invece, può essere autodistruttivo nel momento in cui riteniamo di aver fallito esclusivamente per una nostra incapacità. Questo contribuisce a rafforzare il circolo dell’insicurezza.

A questo punto entra in gioco l’autoefficacia: abbinata al locus of control interno, che consente di percepire che siamo in grado di cambiare le cose, intervenendo nel corso degli eventi in maniera efficace. Ecco che, ragionando sulle cause, abbiamo trovato il punto di partenza per iniziare una svolta.

Che cosa fare in caso di insicurezza

Per ridimensionare il problema dell’insicurezza il primo passo è lavorare sulle aspettative: se sono troppo alte, il fallimento è praticamente assicurato, si tratta di un semplice calcolo di probabilità. Ecco perché la ricerca della perfezione è destinata a una continua delusione. Delusioni ripetute, a loro volta, danno luogo al famoso fenomeno delle profezie che si autoavverano, alimentando le aspettative di fallimento. Al contrario, le esperienze positive possono aumentare il senso di autoefficacia.

Ma a volte è proprio la rassegnazione al pensiero che non potremo farcela a darci un riferimento, che ci consente di rimanere nella nostra gabbia, dove l’insicurezza ci tiene prigionieri ma ci evita di esporci a situazioni che potrebbero essere imbarazzanti, difficili da affrontare perché ci mettono di fronte al nostro essere imperfetti e fallibili. L’insicurezza ci toglie la responsabilità della nostra stessa esistenza, lasciandocela vivere in maniera passiva, in balia degli eventi. Da questa limitazione dobbiamo fuggire per riconquistare la libertà di affermarci ed essere noi stessi al massimo del nostro potenziale.

Accettare se stessi

Il primo passo, dunque, è capire chi si vuole essere, quale potenziale si cela in noi e va coltivato per raggiungere la sua espressione migliore. Ma per compiere questo percorso è fondamentale cambiare l’atteggiamento verso se stessi, praticando l’autocompassione invece della colpevolizzazione. Ciò significa smettere di giudicarsi con severità e solo sulla base dei propri fallimenti, riconoscere che la vita propone sfide difficili che talvolta si perdono. Quando ciò accade, si possono acquisire gli strumenti per affrontare la prossima sfida.

Perdonare i propri errori è il punto di partenza per sviluppare una migliore conoscenza di sé partendo dai propri limiti. La visione che si sviluppa del problema deve essere oggettiva, fino alla comprensione che i meccanismi che si mettono in atto per far fronte a una situazione problematica non sono funzionali e devono essere sostituiti.

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Sviluppate l’autostima per vincere l’insicurezza

Una volta esaminata attentamente la situazione e fatto luce sulle proprie potenzialità, occorre cercare di raggiungere l’equilibrio tra l’accettazione e il potenziamento. Non tutto, infatti, potrà essere cambiato, ma dei miglioramenti sono sempre possibili e da questi si può trarre maggiore sicurezza e fiducia in se stessi. Da qui, inoltre, si potranno gettare le basi per il pieno sviluppo di sé, diventando chi si è davvero senza doversi nascondere dietro il tentativo di rispettare le aspettative degli altri.

In questo modo si potrà dare vita a un nuovo sé, autentico e libero, che potrà sviluppare se stesso ma senza ostinarsi a mostrare delle qualità che non possiede, perché consapevole dei suoi limiti tanto quanto delle sue possibilità. La consapevolezza precedentemente acquisita, quindi, si combina con l’accettazione dei propri paletti, proteggendo la persona dal timore della delusione, perché avrà delle aspettative realistiche, basate sulla profonda conoscenza di sé.

Ma, allo stesso tempo, fermarsi all’accettazione non implica una crescita personale, quindi occorre aggiungere un ulteriore sforzo che possa portare al miglioramento. Ciò significa potenziare l’autostima, che però non è un processo eseguibile in autonomia e nell’isolamento. La misura dei propri successi, infatti, si ha nel concreto, nelle esperienze, e nel confronto con gli altri. La condivisione di un contesto, far parte di un gruppo in cui i membri si supportano reciprocamente, infonde un senso di sicurezza che si genera dalla convinzione che, se si sta in un gruppo, è perché gli altri lo permettono. E ovviamente gli altri lo permettono perché ci approvano. Questo feedback positivo è esattamente del tipo necessario per alimentare l’autostima.

Tuttavia, anche in questo caso, l’equilibrio è la chiave: affidarsi al giudizio degli altri per far crescere la propria autostima non significa diventarne dipendenti. L’insicurezza, infatti, ci fa tendere alla dipendenza affettiva, specialmente nelle relazioni di coppia, in cui ci si appoggia completamente all’altro in cerca della sua approvazione, come se la nostra autostima non sapesse camminare da sola. Si rimane invischiati completamente in questa relazione, avvertendo sempre un senso di inferiorità rispetto all’altro e sentendosi in colpa quando la relazione finisce. Il dialogo e la condivisione possono essere un antidoto, un luogo in cui sperimentare la propria autoefficacia e la capacità di essere assertivi e di determinare il proprio futuro.

Raggiungere questo equilibrio è incredibilmente difficile e, nel caso in cui l’insicurezza sia così intensa da essere patologica, il percorso necessita della guida di un esperto.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.