Con l’espressione “body shaming” si intende l’atto di deridere una persona per qualche caratteristica dell’aspetto fisico, come la corporatura, il modo di vestire, l’acne, le cicatrici o i tatuaggi. Il fenomeno è legato al cyberbullismo, che ne ha accelerato la diffusione, e alle dinamiche di funzionamento dei media e dei social, che possono esserne la causa o una variabile concorrente.
Le conseguenze psicologiche possono essere gravi: anche se in genere la genesi e l’eziopatogenesi di una psicopatologia hanno origine da più di un fattore, essere vittime di body shaming rappresenta un rischio elevato per il sottile equilibrio tra fattori di vulnerabilità e di protezione che costituisce il pilastro del benessere mentale. Le vittime possono andare incontro a sintomi depressivi, ansia, ritiro sociale, vergogna legata al corpo e DPTS (disturbo post-traumatico da stress), perché il body shaming intacca e frammenta due costrutti interconnessi che stanno alla base della nostra identità: l’immagine corporea e l’autostima.
Cosa si intende per “immagine corporea”?
Durante i primi anni di vita, il bambino inizia a riconoscere la propria immagine riflessa allo specchio e comprende che anche le altre persone hanno un corpo simile al suo. L’immagine corporea è costituita da diverse componenti:
– percettiva (ad esempio, come la persona visualizza la forma del proprio corpo);
– affettiva (ad esempio, i sentimenti che la persona nutre verso il proprio corpo);
– comportamentale (ad esempio, l’alimentazione e l’attività fisica).
Quindi l’immagine corporea riguarda la persona nella sua globalità, perché la costruzione e le eventuali alterazioni derivano da aspetti neurobiologici, psicologici e socio-culturali.
Cos’è l’autostima?
L’autostima è il processo che ci porta a valutare e apprezzare quello che siamo, partendo dalle nostre percezioni. Cambia nel tempo, in base al modo in cui la mente rielabora le esperienze quotidiane, ed è sempre soggettiva, perché si basa sulla nostra capacità di attribuire un giudizio valoriale personale. L’autostima si basa su fattori sociali (ciò che il mondo pensa di noi), fattori cognitivi (le conoscenze e le valutazioni sulla realtà esterna) e fattori emotivi (che influenzano la nostra capacità di elaborare i sentimenti). Livelli che si intersecano e si condizionano.
Il body shaming è in grado di influenzare questi costrutti, perché lavora su meccanismi sottili e subdoli, che soprattutto nei casi che riguardano adolescenti e giovanissimi maturano in contesti primi di supervisione adulta (come i social media). Inoltre, in genere le vittime non chiedono aiuto e non denunciano gli attacchi subiti, a causa di un profondo senso di vergogna.
Per sua natura, l’adolescente si trova nel mezzo di un percorso di forte trasformazione psicofisica in cui il riconoscimento sociale da parte dei pari è fondamentale: da questo punto di vista, le rassicurazioni dei genitori rispetto al proprio aspetto servono a poco. I ragazzi o le ragazze tendono così a isolarsi e a sviluppare paura, angoscia e sentimenti compatibili con uno stato di flessibilità del tono dell’umore. Un circolo vizioso di pensieri disfunzionali che si autoalimenta e che è difficile spezzare: spesso si interviene quando l’autostima è già minata. Gli effetti nocivi sono potenziati se le dinamiche si sviluppano in situazioni in cui c’è uno sbilanciamento in termini di potere, età ed esperienze (allenatore – ginnasta, insegnante – allievo).
È necessario agire in maniera preventiva, rendendo le possibili vittime protagoniste di un processo di costruzione di confini relazionali. In un’epoca in cui i social sono così diffusi, sarebbero utili anche campagne di sensibilizzazione rivolte alle scuole in cui si affronti in tema. Occorre poi agire rilevando i primi segnali d’allarme, magari indirizzando chi subisce o ha subito le prepotenze verso un percorso di psicoterapia che possa servire a dare un nuovo significato all’esperienza dolorosa.
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