Per tripofobia si intende un disturbo da fobia specifica, categorizzato dal DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) come una patologia legata allo spettro ansioso. Il tripofobico sperimenta una paura morbosa e incontrollabile nei confronti dei buchi.
Il tripofobico non teme semplicemente i buchi, ma gli schemi ripetitivi formati da buchi come quelli delle spugne o degli alveari. Dinanzi a questi oggetti, può sperimentare vero e proprio terrore, ripugnanza, fastidio, profonde sensazioni di disagio e addirittura attacchi di panico.
Sembra che la tripofobia abbia cause genetiche oltre che legate ad esperienze traumatiche vissute in prima (condizionamento classico) o in terza persona (apprendimento osservazionale). Questo perché, nel nostro patrimonio genetico, è inscritta una certa avversità nei confronti dei buchi che possono nascondere animali pericolosi e/o verso gli schemi naturali ripetitivi che possono essere sinonimo di meccanismi offensivi propri di alcune specie animali.
Le ipotesi di cura comprendono intervento terapeutico cognitivo-comportamentale atto a modificare il rapporto tra stimolo e risposta e gli schemi cognitivi del paziente.
Ne parleremo più a fondo in conclusione dell’articolo.
Tripofobia: una definizione
La tripofobia è spesso definita come la paura dei buchi. In realtà, il disturbo ha più a che fare con i pattern ripetitivi di qualsiasi forma, dimensione e profondità. Può quindi essere scatenato da una varietà pressoché immensa di elementi naturali e non:
- coralli;
- tubi disposti in fila;
- pori nel derma;
- alcuni frutti;
- alveari;
- spugne;
- fessure presenti sulle pareti;
e altro ancora.
Dinanzi a questi elementi, il tripofobico sperimenta una sensazione di forte disgusto che può spingersi fino alla repulsione. Può anche arrivare a provare sintomi psicofisici che comprendono:
- nausea;
- vertigini;
- confusione mentale;
- vomito;
- attacchi di panico;
- vampate di calore e di freddo;
- palpitazioni;
- secchezza delle fauci;
- tachipnea;
- tachicardia.
Quali sono le cause di tripofobia?
Le cause di tripofobia sono variegate. Il disturbo è stato identificato di recente (il termine tecnico tripofobia risale al 2005) e ancora molte ricerche sono in corso sulla psicopatologia. Possiamo comunque identificare cause di natura genetica e relative a patologie pregresse come la paura dello sporco e della contaminazione.
Cause di natura genetico-evolutiva
Secondo recenti studi, la tripofobia potrebbe avere ragioni genetico-evolutive. Ricordiamo che i nostri meccanismi di difesa sono perlopiù ereditati e inscritti nel nostro patrimonio genetico: quando vediamo del sangue, tendiamo ad avere paura perché siamo biologicamente portati a pensare che la vista del sangue equivalga ad un segnale di pericolo.
La stessa cosa avviene nel caso delle fessure, dei buchi e dei pattern ripetitivi:
- molti animali velenosi, presentano questo tipo di fantasia per attirare le possibili prede (pensiamo ad alcune rane velenose, ma anche ai serpenti, ai ragni e così via);
- quando ci imbattiamo in macchie ripetitive, buchi, fessure, etc. si attivano nel nostro cervello aree preposte all’elaborazione della paura e ai meccanismi di difesa;
- ecco che, per motivazioni fisiologiche, possiamo sperimentare sensazioni quali panico, desiderio di scappare, accelerazione del battito cardiaco, affanno e simili.
Altre cause
Alcuni soggetti sperimentano vera e propria repulsione di fronte ai buchi e al loro succedersi in schemi ripetitivi. In tal caso, sembra che la tripofobia abbia più a che fare col disgusto che col panico. Le motivazioni alla radice potrebbero essere:
- patologie pregresse come il terrore dello sporco e della contaminazione (cioè forme di misofobia o rupofobia);
- paura nei confronti delle malattie infettive.
Il timore della contaminazione è spesso legata a figure animali: pensiamo che buona parte dei disturbi fobici riguarda specie appartenenti al mondo degli insetti (come ragni, formiche, api).
Come si cura la tripofobia?
Come sottolineato, la tripofobia è ancora oggetto di studio in ambito medico-terapeutico. Sembra, comunque, che la terapia d’esposizione allo stimolo in ambiente controllato possa fornire ottimi risultati.
Come funziona questo modello terapeutico?
- Le fobie implicano una risposta disfunzionale (paura, panico, disgusto) ad uno stimolo neutro (dei fori in pattern ripetitivi);
- le cause di questa risposta sono da ricercare in fattori genetici, ambientali e caratteriali;
- si potrà quindi lavorare in profondità sulle motivazioni che causano la fobia;
- e, al contempo, modificare la risposta del paziente attraverso l’esposizione allo stimolo stressante nello studio del professionista (terapia d’esposizione).
A lungo andare, il paziente smetterà di interpretare lo stimolo x (i fori) come pericoloso o disgustoso. Avrà dunque superato la fobia e potrà lavorare, nel caso ce ne fossero, sulle cause profonde rintracciabili nel vissuto che lo hanno portato allo sviluppo di un disturbo d’ansia.
Altri metodi di cura possono comprendere tecniche di rilassamento o stimolazione oculare (EMDR) per il trattamento degli eventi traumatici. Si tratterà, durante le prime sedute, di ottenere una corretta diagnosi attraverso questionari e domande fornite dal medico-psichiatra.
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