Litio: che cos’è e a cosa serve in psicoterapia

Gli stabilizzatori dell’umore sono farmaci che vengono utilizzati in caso di alterazioni del tono dell’umore e in particolare per il trattamento del disturbo bipolare perché aiutano a prevenire episodi maniacali e depressivi.

Grazie alla capacità di agire direttamente sui neurotrasmettitori che regolano il tono dell’umore, questi principi attivi si rivelano essenziali in caso di instabilità emotiva, aggressività, irritabilità, mancato controllo o nei disturbi del controllo degli impulsi (ICD).

Gli stabilizzatori dell’umore possono richiedere fino a diverse settimane per raggiungere il loro pieno effetto ed è questo il motivo per cui vengono spesso affiancati da antidepressivi o antipsicotici.

Questi farmaci si rivelano quindi essenziali per riacquistare un’ottima qualità di vita soprattutto in caso di disturbo bipolare, una patologia che colpisce, secondo quanto riportato dall’OMS, ben 60 milioni di persone in tutto il mondo.

I principi attivi utilizzati come stabilizzatori dell’umore sono numerosi. Il litio non solo è stato il primo a essere scoperto ma rimane tuttora il farmaco di prima scelta.

Cos’è il litio?

Da un punto di vista strettamente chimico, il carbonato di litio (chiamato comunemente litio) è un metallo bianco, alcalino, simile al sodio e al potassio. Utilizzato solitamente sotto forma di sali, ha un peso atomico di 6,94 mentre la sua formula chimica è Li2CO3.

Come abbiamo avuto modo di sottolineare, è un principio attivo utilizzato per il trattamento acuto della mania e per la profilassi delle psicosi affettive maniaco-depressive e unipolari.

Nonostante la FDA abbia registrato una decina di sostanze per il trattamento del disturbo affettivo bipolare, il litio continua a essere considerato come un farmaco di prima scelta. Molti studi randomizzati hanno infatti dimostrato la sua efficacia nella prevenzione del disturbo bipolare e non solo. L’uso di questo principio attivo viene spesso raccomandato in caso di psicosi schizoaffettiva, ciclotimia, depressione maggiore e non solo.

Nelle persone affette da disturbi dell’umore, la terapia a lungo termine con litio può ridurre il rischio di suicidio e, secondo gli specialisti, il numero di tentativi effettivi.

Storia del litio

La storia dell’uso del litio in medicina si perde nella notte dei tempi. Pensa che Galeno, celebre medico romano, già nel II secolo d.C. raccomandava ai pazienti affetti da mania di fare il bagno e bere acqua contenente litio.

Occorre attendere però l’inizio del XIX secolo per assistere a un sistematico impiego di questo principio attivo in campo medico. In questo periodo infatti il litio diventa popolare per la capacità di dissolvere i depositi di acido urico, considerati, dai medici di quel periodo, come i principali responsabili della maggior parte delle patologie.

I composti di litio quindi iniziano a essere prescritti per curare i disturbi renali e quelli della vescica ma anche per combattere l’insonnia, il diabete, il mal di testa e l’epilessia.

Nel 1871 William A. Hammond, medico e neurologo militare statunitense, si rifa agli studi di Galeno e raccomanda l’uso del bromuro di litio nel trattamento della mania. Tuttavia, la tossicità dei composti a base di questo metallo ne impone presto l’interruzione.

Nel 1949 arriva la svolta.

Il fisico australiano John Cade dimostra per la prima volta l’efficacia del litio nel trattamento della mania. Cade parte da un’idea principale: il disturbo bipolare è causato da una tossina presente nel sangue. Per proteggere i pazienti dall’azione di questa tossina, è necessario somministrare loro dell’acido urico disciolto in una soluzione di litio carbonato.

La somministrazione ai ratti dimostra che tale composto è davvero efficace ma l’effetto calmante non è dovuto all’acido urico quanto invece al litio carbonato. Cade dimostra quindi che il litio, utilizzato regolarmente, ha la capacità di ridurre i sintomi del disturbi ma anche di prevenire depressione e mania.

La strada per un uso effettivo del litio però è ancora tutta in salita perché i ricercatori faticano a trovare un buon equilibrio tra efficacia e tossicità. Questo è il motivo per cui la Food and Drug Administration (FDA) registra questo principio attivo nel 1970 per il trattamento della malattia maniacale e soltanto quattro anni dopo per la prevenzione dei disturbi dell’umore.

Oggi, come abbiamo detto, rimane uno dei farmaci più prescritti dagli specialisti anche se i meccanismi della sua azione sul sistema nervoso ancora non sono completamente noti.

A cosa serve il litio?

I farmaci al litio vengono spesso somministrati come procedura standard dai professionisti della salute mentale per:

  • profilassi del disturbo affettivo bipolare, degli episodi di depressione bipolare o maggiore e le psicosi schizoaffettive;
  • depressioni acute unipolari, in caso di resistenza alla terapia o di intolleranza agli antidepressivi;
  • trattamento degli episodi maniacali;
  • cefalea a grappolo episodica o cronica.


Il litio si rivela particolarmente efficace nella prevenzione delle fasi maniacali e depressive del disturbo bipolare e come terapia di mantenimento.

I ricercatori inoltre hanno scoperto che i pazienti ai quali viene somministrata una terapia a base di litio, mostrano un aumento del volume della corteccia cerebrale, dell’amigdala, del talamo e dell’ippocampo. Questo meccanismo fa supporre che il litio abbia la capacità di generare sia nuovi neutroni sia cellule di supporto del cervello. La sua funzione quindi potrebbe avere una doppia natura: da una parte protegge, dall’altra rigenera.

Uno degli effetti più importanti di questo principio attivo riguarda la capacità di diminuire il rischio di suicidio. Una serie di studi effettuati in Europa e in Nord America, hanno dimostrato che il tasso di suicidi nei pazienti trattati con litio sia decisamente inferiore rispetto agli individui che assumono un anticonvulsivante come stabilizzatore dell’umore.

I dati elaborati dagli scienziati si sono spinti oltre.

Secondo due ricerche condotte dalla Brighton and Sussex Medical School e dall’Università di Cambridge, le persone che vivono in città dove la concentrazione di litio nell’acqua potabile è elevata, presentano un tasso di suicidi inferiore rispetto agli individui che vivono in contesti urbani in cui il litio non è presente in modo significativo nell’acqua.

Quanto tempo ci mette a fare effetto il litio?

Quella con il litio non è una terapia veloce. Questo principio attivo infatti impiega alcune settimane per produrre i primi risultati: la sua efficacia ovviamente cambia in base allo stato di salute e all’età del paziente ma è strettamente legata soprattutto all’assunzione contemporanea di altri farmaci.

L’obiettivo terapeutico è raggiungere un livello ematico stabile perché, come abbiamo sottolineato, è indispensabile trovare un equilibrio tra dosi troppo basse, quindi inefficaci, o elevate e potenzialmente tossiche.

La posologia e la durata del trattamento saranno stabilite di volta in volta dallo psichiatra che dovrà monitorare costantemente il paziente per valutare i livelli di litiemia nel sangue.

Cosa sapere quando si assume il litio

La terapia con il litio, per essere sicura ed efficace, deve essere preceduta da una serie di controlli. Lo specialista solitamente prescrive esami per verificare la funzionalità del cuore, dei reni e lo stato di salute della tiroide.

Durante il trattamento invece è fondamentale controllare periodicamente i valori della litiemia nel sangue per stabilire il dosaggio più corretto per il paziente.

Nella fasi iniziali, questa analisi viene prescritta all’incirca ogni settimana proprio per capire se la posologia è corretta o ha bisogno di essere rimodulata.

Disturbi dell’umore e psicoterapia

Un disturbo dell’umore non è qualcosa di temporaneo e non va confuso con situazioni momentanee e transitorie di tristezza o irritabilità. Una delle sue caratteristiche principali infatti è proprio la persistenza: si manifesta per lunghi periodi di tempo, incidendo in maniera negativa sulla qualità di vita dell’individuo che ne soffre.

La velocità della diagnosi è fondamentale per superare e risolvere questo disturbo.

L’iter terapeutico è ampio e dipende ovviamente sia dalle caratteristiche specifiche del caso sia dalla tipologia di disturbo diagnosticato.

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Revisori

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Dott. Raffaele Avico

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista certificato EMDR I

Ordine degli Psicologi del Piemonte num. 5822

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista EMDR. È membro della ESDT (European Society for Trauma and Dissociation) e socio AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione).

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Dott. Rosario Urbani

Psicoterapeuta specializzato in cognitivo comportamentale

Ordine degli Psicologi della Campania num. 6653/A

Laureato in Neuroscienze presso la Seconda Università di Napoli. Specializzato presso l’istituto Skinner in psicoterapia cognitivo comportamentale. Analista del comportamento ABA e specializzato anche nella tecnica terapeutica dell'EMDR.

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Dott.ssa Maria Vallillo

Psicoterapeuta specialista in Lifespan Developmental Psychology

Ordine degli Psicologi del Lazio num. 25732

Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in psicoterapia e psicologia del ciclo di vita presso l’Università la Sapienza di Roma. Esperta in neuropsicologia e psicodiagnostica e perfezionata in psico-oncologia.