Da dove deriva il non sentirsi all’altezza e come contrastarla

A tutti capita, almeno una volta nella vita, di non sentirsi all’altezza di una particolare situazione, che si tratti di un nuovo lavoro, di una nuova relazione amorosa o di un nuovo ruolo, come quello del genitore. Ma in alcune persone questa modalità diventa prevalente, al punto da generare sintomi invalidanti come dolore intenso, attacchi di panico e disperazione, come se non ci fosse possibilità di essere felici.

Quando il non sentirsi all’altezza diventa radicato nella persona, può arrivare ad avere ripercussioni sulla sua stessa identità: ci si sente incapaci, inetti, e l’immagine di sé viene svalutata. Ma l’analisi di queste dinamiche apre la strada a dei cambiamenti e a possibili soluzioni. Vuoi sapere come? Continua a leggere e lo scoprirai.

Non sentirsi all’altezza: quali sono le cause?

L’origine del non sentirsi all’altezza di qualcosa come tratto costante della propria personalità si deve alla tendenza che tutti abbiamo, in misura variabile, di credere nelle nostre capacità. L’autostima si costruisce nel corso del tempo, e man mano che si superano delle sfide. Può anche essere minata da diverse paure, come quella di deludere le aspettative altrui, di essere giudicati negativamente, di non essere allo stesso livello degli altri.

Le dirette conseguenze di una bassa autostima, quando questa diventa invalidante, possono consistere nello sviluppo di sintomi depressivi o ansiosi, fino a comportamenti di evitamento messi in atto allo scopo di non esporsi a situazioni che potrebbero mettere alla priva la persona, causando ulteriori delusioni. In questo modo si stabilisce un circolo vizioso alimentato dall’insicurezza che continua a crescere.

Non sentirsi all’altezza al lavoro

Iniziamo ora a vedere alcuni ambiti in cui è più facile non sentirsi all’altezza per una persona con bassa autostima. Il primo è il lavoro, uno dei bisogni fondamentali e che però rappresenta per tutti un banco di prova in cui dimostrare le proprie capacità. Anzi, solo il raggiungimento di una certa performance, che passa obbligatoriamente per il giudizio degli altri, consente di avanzare.

Il prestigio della posizione lavorativa è anche un elemento al quale la moderna società attribuisce un valore simbolico, quindi non sentirsi all’altezza comporta una serie di disagi emotivi e un vissuto di inadeguatezza, fino all’isolamento sociale per sfuggire alla vergogna. D’altra parte, anche la permanenza al lavoro viene vissuta come un peso, con una ricaduta sulle prestazioni che può aggiungere ulteriori pensieri alla persona, come la paura di perdere l’impiego.

Ma gli effetti negativi non finiscono qui: il non sentirsi all’altezza può dare luogo a un’impotenza appresa diffusa, ca pace di far sentire la persona inadeguata in senso generale, quindi non solo per quel lavoro in particolare, ma anche per qualsiasi altro. Di conseguenza, avrà anche paura a lasciare un’occupazione che non gli piace o non lo soddisfa perché teme di peggiorare la situazione.

Non sentirsi all’altezza in una relazione di coppia

Il non sentirsi all’altezza può riguardare anche le relazioni sentimentali, sia sul piano personale che su quello sessuale. Nelle persone insicure, può insinuarsi il dubbio di non essere abbastanza per l’altro oppure di non meritare la sua compagnia. Si tratta di un tipo di pensieri disfunzionali che possono avere origine da una serie di esperienze affettive negative ripetute, ma anche dallo stile di attaccamento appreso durante la relazione con i genitori durante l’infanzia.

L’attaccamento è un modello relazionale costituito da un insieme di comportamenti e reazioni che si stabiliscono prevalentemente tra il bambino e la mamma, inizia a strutturarsi nei primi mesi di vita e ha lo scopo di mantenere la vicinanza fisica ed emotiva con il genitore. Non sempre tutto va liscio e a volte il bambino deve giungere a un compromesso per ottenere la vicinanza della mamma, ad esempio evitando di esprimere le emozioni negative (attaccamento evitante) oppure cercando di mantenere una sorta di controllo perché la paura dell’abbandono è insopportabile (attaccamento ambivalente). Invece, quando il comportamento del genitore non è prevedibile, si parla di attaccamento disorganizzato.

Questi tre casi rischiano di alimentare nel bambino il messaggio che per essere degno di amore deve comportarsi in un certo modo, e ciò può influire sul suo senso di sicurezza e sull’immagine di se stesso come persona difettuale che non può aspettarsi amore incondizionato, ma deve sempre essere sottoposto al giudizio degli altri e dimostrare di meritarsi qualcosa. Sebbene il rapporto non sia deterministico, questi modelli influenzano anche le relazioni affettive da adulti.

L’evitamento dei conflitti per la paura di non riuscire a superarli, i comportamenti di gelosia e possessività finalizzati al controllo, sono tutti elementi che nascondono il non sentirsi all’altezza e lo riversano sul rapporto di coppia.

Non sentirsi all’altezza come genitori e come caregiver

Un’altra sfida importante per tutti è quella di fare i conti con i doveri e i compiti dell’essere genitori. Anche questa situazione comporta ansia per le persone insicure, fino al non sentirsi all’altezza del ruolo di genitore o direttamente dei confronti dei propri figli. Precisiamo che un primo periodo di destabilizzazione rientra nella norma, ma quando la paura diventa pervasiva, può comportare seri problemi.

Una delle paure più diffuse è quella di commettere degli errori che possono avere delle ripercussioni psicologiche sui figli, di non riuscire a identificarne i bisogni e, di conseguenza, di non essere in grado di rispondervi in maniera adeguata. La stessa tipologia di meccanismi subentra quando si deve affrontare la malattia di una persona cara: può succedere a chi ha un’autostima bassa di non sentirsi all’altezza di rispondere al suo bisogno di accudimento e aver paura di non saper fornire le giuste cure.

La diagnosi di una malattia, infatti, comporta la necessità per il malato di riposizionarsi rispetto al suo ruolo, assumendo anche quello di malato, che entra così a far parte della sua identità. Ma lo stesso vale per i famigliari che si occupano di lui o di lei, che si devono mettere nell’ottica di diventare il caregiver del loro caro, le persone sulle quali conterà e che assumerà come riferimento.

Una delle paure più frequenti, in questo caso, è di non essere capace di portare a termine una comunicazione efficace, che riesca ad accogliere il bisogno di essere compreso e ascoltato del malato, e al contempo ad accettare le sue paure e aiutarlo a rimodularle. Si tratta di situazioni in cui l’insicurezza è da considerarsi normale, dal momento che si tratta di qualcosa di inedito, ma in persone molto ansiose il non sentirsi all’altezza può portare a un completo congelamento e al panico.

Non sentirsi all’altezza: come superare questa sensazione

A volte non sentirsi all’altezza è fisiologico, specialmente quando ci si trova di fronte a delle situazioni nuove e si ha un obiettivo che sta particolarmente a cuore: in questi casi un po’ di ansia risulta funzionale, ma quando questa modalità diventa costante e pervasiva, iniziano i problemi. Non sentirsi all’altezza in tutto ciò che si fa, lasciandosi travolgere da pensieri intrusivi e aspettative di fallimento comporta spesso il rischio di cedere alla tentazione dei comportamenti di evitamento, che limitano in maniera significativa le possibilità di azione.

Come si può uscire da questa situazione? In primo luogo, è necessario aumentare l’autostima, che può avere un ruolo fondamentale nel proprio benessere mentale. Il modo migliore è, invece di premettere ai dubbi e all’autosvalutazione di avere la meglio, concentrarsi sui successi che sono stati raggiunti nel corso della vita.

In secondo luogo, un’altra cosa sbagliatissima è darsi un valore confrontandosi con le capacità e i risultati ottenuti dagli altri. È un pensiero che non porta da nessuna parte, dal momento che ciascuno di noi è diverso, ha i suoi obiettivi, le sue competenze e i suoi strumenti per raggiungerli.

La paura del fallimento, però, non può essere semplicemente cancellata, altrimenti rischieremmo di sopravvalutare le nostre abilità, non vedere i nostri limiti e sminuire l’importanza di tutto ciò che facciamo. Il punto è trasformare questo sentimento in una leva per raggiungere il traguardo. Puoi imparare a ottimizzare le tue risorse e acquisire le strategie per riprendere in mano la tua vita grazie a un percorso di supporto psicologico o di psicoterapia.

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Revisori

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Dott. Raffaele Avico

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista certificato EMDR I

Ordine degli Psicologi del Piemonte num. 5822

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista EMDR. È membro della ESDT (European Society for Trauma and Dissociation) e socio AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione).

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Dott. Rosario Urbani

Psicoterapeuta specializzato in cognitivo comportamentale

Ordine degli Psicologi della Campania num. 6653/A

Laureato in Neuroscienze presso la Seconda Università di Napoli. Specializzato presso l’istituto Skinner in psicoterapia cognitivo comportamentale. Analista del comportamento ABA e specializzato anche nella tecnica terapeutica dell'EMDR.

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Dott.ssa Maria Vallillo

Psicoterapeuta specialista in Lifespan Developmental Psychology

Ordine degli Psicologi del Lazio num. 25732

Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in psicoterapia e psicologia del ciclo di vita presso l’Università la Sapienza di Roma. Esperta in neuropsicologia e psicodiagnostica e perfezionata in psico-oncologia.