Evitamento: come riconoscerlo?

Scopri l'evitamento in psicologia, dalle radici del disturbo di personalità evitante alle strategie per riconoscerlo e affrontarlo. Questo articolo approfondisce le cause, i sintomi e offre consigli pratici per superare l'evitamento, migliorando così la qualità della vita e le relazioni interpersonali.

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evitamento

In psicologia, l’evitamento è un comportamento volto a evitare uno stimolo stressante quindi un pensiero, una situazione o una sensazione che ci procurano ansia e tensione.

In questo articolo cercheremo di capire cos’è il l'evitamento, come si manifesta e cosa possiamo fare per capire e gestire i pensieri e i contesti che ci creano disagio.

Cos'è l'evitamento?

Il comportamento di evitamento è un meccanismo di difesa psicologica che si verifica quando una persona cerca di evitare situazioni, pensieri o emozioni che possono essere considerate minacciose, scomode o dolorose.

È una strategia utilizzata per affrontare lo stress, l’ansia o il trauma: in pratica cerchiamo di allontanarci da tutti gli stimoli che ci creano disagio.

Tutti noi sperimentiamo quotidianamente qualcosa che non ci piace. 

A volte sappiamo esattamente cos’è, altre ancora invece percepiamo una minaccia, una sensazione negativa alla quale non riusciamo dare un volto, un nome o un confine: tutto quello che sappiamo è che abbiamo la necessità, fisica o mentale, di allontanarci da quello che identifichiamo come un pericolo.

Per farlo mettiamo in atto una serie di strategie di coping personali. Ognuno di noi ha il proprio corredo personale di difesa, composto da abilità che testiamo nel corso del tempo.

Le strategie di evitamento possono essere diverse. Una delle più frequenti è quella legata all'ansia anticipatoria: la situazione che ci rende ansiosi ancora non è avvenuta, l’abbiamo soltanto immaginata, ma è proprio il suo pensiero a renderci tesi e stressati. Gli studiosi la definiscono come la "paura della paura": ci terrorizza l'idea di non riuscire a gestire le situazioni difficili e potenzialmente cariche di ansia.

Significato di evitamento

Il disturbo da evitamento è un meccanismo di difesa attraverso il quale ci si rifiuta di affrontare e fronteggiare le situazioni ma anche le persone, i pensieri o gli oggetti che generano angoscia.

Da un punto di vista strettamente psicanalitico, questo comportamento può essere identificato come il meccanismo principale attraverso il quale si formano le fobie.

Quali sono i sintomi dell’evitamento?

Tra i sintomi più importanti dell'evitamento ricordiamo:

  • sentimenti di inferiorità rispetto agli altri
  • profonda insicurezza
  • evitamento di situazioni che prevedono l’interazione sociale
  • isolamento

Questo comportamento si manifesta anche con una scarsa fiducia nei confronti degli altri, con una difficoltà costante nel prendere decisioni, anche le più semplici, e con la tendenza a rimanere sempre nella propria zona di comfort: preferiamo rimanere in tutti quegli spazi, anche mentali, che ci fanno sentire a nostro agio.

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La personalità evitante fugge da tutte quelle situazioni che la fanno sentire inadeguata ed è caratterizzata da un’ipersensibilità alla valutazione negativa che può presentarsi in diversi contesti.

Quali sono i sintomi dell’evitamento?

Spesso, nel momento in cui siamo di fronte a una situazione negativa, sperimentiamo i classici sintomi di un attacco d’ansia. Il disagio infatti passa attraverso:

  • sudori
  • tremori
  • palpitazioni
  • mal di stomaco
  • respiro irregolare

Tutti segnali che ci fanno fuggire perché interpretiamo la situazione come pericolosa.

A quali disturbi porta l'evitamento?

Questo meccanismo di difesa ci impedisce di instaurare rapporti affettivi profondi, tendiamo a isolarci e a lungo andare possiamo sviluppare altri disturbi in comorbidità come:

L'evitamento come meccanismo di difesa

Il concetto di "meccanismo di difesa" è stato utilizzato per la prima volta da Sigmund Freud per indicare quei processi psicologici con i quali regoliamo i conflitti intrapsichici o interpersonali per procurarci sollievo emotivo. Secondo il celebre psicanalista sono "delle procedure dell’Io che permettono il successo di un compito, cercando di evitare i pericoli".

La maggior parte delle volte parliamo di processi inconsci: la nostra psiche protegge la coscienza dai sentimenti dolorosi sottostanti, permettendoci di percepire o gestire la situazione in un modo "alternativo". In pratica, utilizziamo inconsapevolmente i meccanismi di difesa per prevenire la comparsa di emozioni come ansia, angoscia, preoccupazione. Il loro scopo è puramente adattivo e possono essere configurati come degli automatismi.

Un meccanismo di difesa non è né buono né cattivo: è l’utilizzo che ne facciamo, il suo funzionamento, a determinarne la qualità di adattivo o disadattivo.

L’atteggiamento evitante utilizza il meccanismo di difesa come una strategia di compensazione superficiale e temporanea che, se normalizzata, ci impedisce non solo di risolvere il problema ma anche di aggravarlo e di generare ulteriori emozioni negative.

Per semplificare, l’evitamento diventa un meccanismo negativo quando il danno derivante dall’evitare è maggiore del danno evitato.

L'evitamento come meccanismo di difesa

L'evitamento nei disturbi d’ansia

Vicino o lontano, apprendere o fuggire: le nostre emozioni ci spingono ad avvicinarci o ad allontanarci dalle situazioni che interpretiamo come buone o cattive. La chiave per questa valutazione sta tutta nell’esperienza: il passato spesso guida le nostre scelte.

Cosa succede però se indietreggiamo di fronte a una situazione che non mostra nessun pericolo reale ma che invece ci suscita sentimenti di ansia e disagio?

Tra ansia ed evitamento si instaura una vera e propria trappola emotiva.

Il nostro apprendimento adattivo della paura è viziato da un falso allarme che però viene interpretato come un pericolo reale che provoca un aumento dell'impatto della risposta tipica dell'ansia: fight-or-flight, fuggi o combatti.

In assenza di altri segnali minacciosi, è soltanto ciò che proviamo a innescare l’esperienza del pericolo che, con il passare del tempo, viene rafforzata proprio dal disagio iniziale da cui quale tentiamo di liberarci.

È un colosso con i piedi di argilla. Sembra forte e minaccioso ma in realtà non lo è: siamo noi o meglio, è il nostro modello di comportamento a renderlo tale.

Questo meccanismo di risposta e difesa può acquisire una forza tale da influenzarci negativamente e creare sofferenza e difficoltà nella vita di tutti i giorni.

Evitamento nel disturbo d’ansia sociale

Il disturbo evitante di personalità (DEP) e il disturbo d’ansia sociale (DAS) sono stati inclusi per la prima volta nel DSM-III.

Dall’esterno il quadro sintomatologico è simile: l'autostima è bassa o inesistente e tendiamo a evitare situazioni sociali perché ci mettono in imbarazzo, proviamo vergogna o pudore.

Il focus di entrambi i disturbi si gioca sulla falsariga della paura di essere giudicati e respinti.

La differenza è nel trigger d’attivazione, soprattutto quando parliamo di ansia sociale circoscritta (D'allocco e colleghi, 2003): nell’evitamento è una sentimento generalizzato e totalizzante di estraneità nei confronti degli altri; nella DAS invece è l’esposizione a una determinata situazione come, ad esempio, parlare o mangiare in pubblico.

Il disturbo evitante di personalità spesso viene diagnosticato in concomitanza con la fobia sociale.

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Tipologie di evitamento

Il contesto determina la modalità dell’evitamento.

Gli studiosi hanno teorizzato 5 tipologie principali di evitamento.

Comportamentale: la risposta è l’inazione, tendiamo a rimandare un compito o non adempiamo ai nostri obblighi perché ci creano ansia e paura;

Cognitivo: l’evitamento in questo caso è caratterizzato da coping finalizzati a evitare pensieri che temiamo;

Situazionale: evitiamo tutte quelle situazioni che ci provocano ansia;

Emotivo: in questo caso, evitiamo il disagio emotivo con una serie di comportamenti dannosi o compulsivi. Esempi classici sono la dipendenza da droghe o alcol e i disturbi alimentari;

Aggressivo: l'evitamento aggressivo ci porta a proiettare il nostro disagio sulle altre persone. In pratica, dirottiamo l'emozione spiacevole su chi ci sta accanto utilizzando, ad esempio, un linguaggio aggressivo.

Tipologie di evitamento

Evitamento sociale

Non presentarsi a un matrimonio perché abbiamo paura di mangiare o bere davanti agli altri; cambiare lavoro per evitare di dover parlare davanti ai colleghi; andarsene nel bel mezzo di una riunione.

Gli atteggiamenti tipici dell’evitamento sociale non finiscono qui perché spesso sono meno eclatanti ma sottili e persistenti: abbassiamo la voce fino a renderla impercettibile quando parliamo con gli altri oppure abbassiamo gli occhi e non guardiamo mai il nostro interlocutore.

Le strategie di evitamento sociale spesso diventano uno stile di vita talmente naturale che non ci rendiamo conto di utilizzare sempre le stesse modalità di coping. Sono comportamenti che ci mettono in sicurezza (apparentemente) ma che in realtà impediscono la crescita e l'evoluzione personale.

Evitamento emotivo

L’evitamento emotivo è considerato come uno stile di attaccamento evitante e distanziante che potrebbe derivare dall’assenza di alcuni apprendimenti emotivi fondamentali nella nostra infanzia.

Cosa succede in questo tipo di evitamento? In pratica, tendiamo a non soddisfare i nostri bisogni emotivi, pensiamo che non siano importanti e addirittura fingiamo che non esistano.

L’evitamento è compensazione perché non abbiamo strategie che possano aiutarci a capire quello che sentiamo né tanto meno riusciamo a tradurre in informazioni le sensazioni che ci inviano le nostre emozioni.

Il coping di evitamento ci disconnette emotivamente da noi stessi: iniziamo a fare o a pensare in modo tale da non sentire più nulla.

Evitamento in amore

A prima vista, può sembrare che le persone con attaccamento evitante non vogliano l’amore o non abbiano bisogno del partner.

In realtà le cose non stanno affatto così: vogliamo amare, il problema è quel senso di sopraffazione che arriva in maniera prepotente nel momento in cui avvertiamo una forte vicinanza emotiva con la persona amata.

Non c’è bisogno di chissà quale scenario: a volte è la scelta del luogo dove trascorrere il week end o del programma televisivo da guardare a scatenare in noi un forte desiderio di indipendenza.

Nell’evitamento sentimentale, la persona cerca di stabilire legami e rapporti amorosi ma, al tempo stesso, si sente a disagio quando diventano importanti e profondi.

Per le persone con attaccamento evitante, mantenere la propria autonomia e stare da soli è preferibile piuttosto che sentirsi in coppia o intimità con l’altro.

Evitamento in amore

L’evitamento esperenziale

L'evitamento esperienziale è il meccanismo di difesa che utilizziamo per alterare quello che proviamo (le nostre esperienze interne) anche se sappiamo che questo modo di reagire si tradurrà in un danno comportamentale. Tendiamo a utilizzare qualsiasi cosa pur di controllare l'ansia, rimuginare quindi tentare di controllare con un pensiero altri pensieri diventa normale ma soprattutto disfunzionale. Smettere di rimuginare può non risultare semplice in alcune circostanze.

L’evitamento non si riflette solo in comportamenti specifici ma può manifestarsi con riflessi inconsci derivati da anni di apprendimento, con comportamenti difficili da mettere in relazione con l'evitamento.

Se abbiamo paura di interagire con gli altri, possiamo scegliere, ad esempio, una professione da svolgere a casa in modo tale da non dover avere nessun contatto sociale: mettere in relazione i due elementi non è semplice.

Perché si diventa evitanti?

Non sappiamo quali siano le cause esatte del disturbo evitante di personalità.

In linea di massima, gli studiosi ritengono che esperienze di rifiuto o di ansia nella primissima infanzia possono influire sulla comparsa dell’evitamento così come situazioni di estrema vulnerabilità sociale o la negligenza delle figure di riferimento.

Secondo il recente studio di Giorgi e colleghi (2013), la variazione degli ormoni dello stress e le mutazioni nella produzione dei neurotrasmettitori potrebbero causare il disturbo evitante.

Come si comporta un evitante?

Proviamo a tracciare un elenco dei comportamenti caratteristici di un evitante.

Una persona che non sa affrontare i suoi problemi:

  • si sente a disagio nei rapporti di amicizia e in quelli sentimentali: spesso si lamenta dell'intimità o del fatto che il partner voglia una relazione più seria;
  • odia dover dipendere emotivamente o economicamente da qualcuno;
  • maggiore è il livello di stress, più forte è il desiderio di allontanarsi dal partner e dagli affetti più cari: l'evitante non supporta e non vuole essere supportato;
  • cerca la solitudine ma paradossalmente la vive male e gli pesa;
  • le sue strutture cognitive sono rigide e non contemplano la contraddizione;
  • in alcuni frangenti può manifestare scatti di rabbia e un linguaggio aggressivo scatenato dalle emozioni represse.

L'evitante si aspetta sempre il peggio, l’opzione più funzionale per il suo benessere è quella di prendere le distanze dalle relazioni interpersonali e dalla vita stessa. Chi adotta questo comportamento ha un desiderio latente di socializzazione e di amore come ogni individuo ma tende a trascurare questi bisogni per paura.

Come si comporta un evitante?

Come superare l'evitamento

Le interazioni sociali sono indispensabili nella vita di tutti i giorni e non possono essere evitate. Per superare quindi la tendenza a fuggire ad allontanarci da tutto ciò che ci reca disagio, possiamo provare a seguire qualche piccolo consiglio:

1) Il passato è… passato!

Passato e presente potrebbero somigliarsi, è vero, ma non sappiamo cosa potrà accadere oggi. Lasciare andare ciò che è stato ci aiuta ad affrontare le situazioni che stiamo vivendo e a sperimentare, liberi da qualsiasi condizionamento.

2) Le nostre ansie sono le ansie di tutti!

È normale sbagliare, non sapere cosa fare in determinate situazioni e provare ansia quando si assumono determinate responsabilità. Non sentiamoci però inferiori: tutti commettiamo errori e nessuno di noi è inferiore all’altro.

3) Imparare a gestire i propri sentimenti

La realtà non è così spaventosa come la dipingiamo. Per arrivare a questa consapevolezza è necessario però imparare a riconoscere, capire e gestire le nostre emozioni. Un percorso terapeutico è lo strumento più efficace per superare l’evitamento.

L'Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è l'approccio più indicato per imparare ad accettare le situazioni che ci mettono a disagio.

L'ACT per l'evitamento

L'ACT o terapia di accettazione e impegno si è dimostrata efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia. Questo approccio ci permette di diventare consapevoli del processo di evitamento e di accettare le nostre emozioni e i nostri pensieri, soprattutto quelli che ci mettono a disagio e ci creano ansia, paura o preoccupazione.

L’ACT è un approccio che non si focalizza sulla riduzione dei sintomi (Vicentini, 2008) ma si basa sul presupposto che l’ansia è uno stato emotivo normale e funzionale che ci accompagnerà per tutta la vita; è inutile quindi perdersi nella ruminazione o in strategie che a lungo andare possono rivelarsi dannose.

Il vero problema risiede in tutti gli sforzi che facciamo per impedire a noi stessi di provare l’ansia: è il comportamento evitante che crea il disturbo e non viceversa.

L’ACT può aiutarci a capire che:

  • sfuggire al dolore emotivo non funziona
  • cercare di controllare il dolore e il disagio è il vero problema
  • rinunciare ai tentativi di controllare i tuoi pensieri e sentimenti.

Questa terapia inoltre fornisce gli strumenti più opportuni per capire che noi non siamo i nostri pensieri.

A chi rivolgermi per l'evitamento?

Cosa fare quando capisci di evitare costantemente la sofferenza o ti rendi conto che pensare troppo fa male ma non sai come uscire da questo circolo vizioso? Puoi richiedere un appuntamento online con i professionisti di Serenis che ti aiuteranno a lavorare sull’accettazione delle emozioni spiacevoli e a vivere qualsiasi esperienza in modo pieno, aperto e flessibile, imparando nuove abilità di coping positive e funzionali.

Fonti

  • Ansia ed esistenza - Alfried Längle
  • Evitamento - Treccani
  • APA -Avoidant Personality Disorder and Social Functioning: A Longitudinal, Observational Study Investigating Predictors of Change in a Clinical Sample
  • Zanuto, R., & Gasseau, M. (2023). Meccanismi di difesa nei disturbi di personalità [UNIVERSITÀ DELLA VALLE D’AOSTA]. https://univda.unitesi.cineca.it/bitstream/20.500.14084/1667/1/Tesi%20di%20laurea%20Zanuto%20Rachele.pdf
  • White R. B. Gilliland R. M. 1975 I meccanismi di difesa, Roma, Astrolabio, 1977
  • Giorgi, O., & Piras, G. (2012). STUDIO DEL CONTRIBUTO DEI FATTORI STUDIO DEL CONTRIBUTO DEI FATTORI GENETICI NELLA DEPRESSIONE GENETICI NELLA DEPRESSIONE. Research Gate.
  • Vicentini, M. (2007). Acceptance and Commitment Therapy(ACT): Nuove prospettive per la Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale? Istituto Di Terapia Cognitiva E Comportamentale.
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.

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Dott.ssa Martina Migliore
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.

FRFederico Russo
Federico Russo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048.

Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara.

Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.