Il training autogeno nei percorsi psicologici: benefici, potenzialità e limiti

Scopri il potere del training autogeno per alleviare lo stress e promuovere il benessere mentale. Esplora le tecniche di rilassamento e concentrazione per ottenere una maggiore calma interiore.
Training autogeno

I professionisti della salute mentale fanno spesso uso di tecniche durante i percorsi che intraprendono con i loro pazienti: una delle più comuni è il training autogeno, nato negli ultimi anni del secolo scorso dalle ricerche dello psichiatra tedesco Schultz.
Il termine stesso significa, letteralmente, “allenamento che si genera da sé”, a indicare che la persona che pratica questa disciplina attua dei cambiamenti a livello somatico e mentale al fine di arrivare a uno stato di benessere e rilassamento.

Training autogeno: quali vantaggi?

Alcuni benefici del training autogeno riguardano la salute, a livello di miglioramento della respirazione, della circolazione sanguigna e del metabolismo.
Ma durante i percorsi psicologici questa tecnica viene utilizzata soprattutto nei casi di ansia. Ad esempio, il rilassamento che essa permette di raggiungere aiuta a gestire meglio lo stress. In questo modo è possibile anche regolare alcune funzioni corporee involontarie che rientrano tra i sintomi ansiosi, come la tachicardia e il tremore oppure il mal di testa, la difficoltà ad addormentarsi e mantenere una buona qualità del sonno.
Anche a livello più strettamente mentale ci sono dei risvolti positivi. Ad esempio, problemi comuni tra chi soffre di ansia sono bassa autostima e scarsa capacità di prendere delle decisioni per se stessi. Questi aspetti migliorano grazie alla percezione di controllo sul proprio corpo, che riesce ad aumentare il senso di sicurezza e apre alla possibilità di gestire, ad esempio, la rabbia e le angosce legate alla sfera sessuale. Ma oltre all’ansia, l’applicabilità del training autogeno abbraccia anche la depressione e i disturbi che implicano dei sintomi somatici, grazie alla doppia azione dell’allenamento, che si rivolge tanto al corpo quanto alla mente.

Come si pratica il training autogeno

Insomma, il training autogeno si adatta a trattare molti problemi, ma in tutti i casi l’obiettivo è raggiungere uno stato di calma che includa sia la mente che il corpo attraverso degli esercizi di rilassamento che possono essere praticati sia con una guida che in autonomia, da soli o in gruppo.
L’allenamento da autodidatta è possibile, ma devi fare attenzione a seguire alla lettera il protocollo affinché sia efficace, a cominciare dallo scegliere un ambiente silenzioso in cui tu possa praticare in completa tranquillità e indossare vestiti morbidi e comodi.

Le posizioni del training autogeno

Per praticare il training autogeno inizia a scegliere la posizione più adatta a te tra queste tre:

  • supina: se per te è la prima volta, l’opzione migliore è stenderti tenendo le braccia lungo il corpo piegando leggermente i gomiti in un modo che sia comodo; rivolgi i piedi verso l’esterno e tieni la testa appena sollevata da terra;
  • seduta: in questo caso dovrai avere a disposizione una poltrona con braccioli e schienale alto, in modo che braccia e testa possano appoggiarsi;
  • il cocchiere: è la posizione più difficile, che consiste nel sedersi su uno sgabello con la schiena curva, le braccia rilassate e la testa china.

Ciascuna sessione dura una decina di minuti e l’ideale sarebbe fare pratica quotidianamente almeno due volte al giorno. Per tutta la durata dell’allenamento dovrai fare attenzione alla respirazione diaframmatica, in modo da ottenere il massimo beneficio. Alla fine, ci sarà una fase di ripresa in cui eseguirai piccoli movimenti lenti per riportare tutte le funzioni normali alla normalità.

Gli esercizi di training autogeno

Come abbiamo detto, l’allenamento segue un protocollo rigido che, secondo l’idea di Schultz, consisteva nello spostare la concentrazione su sei diversi settori per rilassarli, precisamente parliamo di muscolatura, vasi sanguigni, cuore, sistema respiratorio, organi dell’addome e testa. A ciascun settore corrisponde un esercizio e, tutti insieme, questi vengono definiti esercizi inferiori del training autogeno, detti così perché si rivolgono al corpo e si contrappongono agli esercizi superiori, dedicati alla mente.
Ora ti forniremo alcune indicazioni per la prima tipologia di esercizi, ovvero quelli inferiori.

  • L’esercizio della pesantezza è il primo previsto dal protocollo e ha lo scopo di rilassare i muscoli partendo da un pensiero che dovrai lasciar scorrere nella tua mente, ovvero: “Il mio corpo è pesante”. Inizialmente dovrai concentrarti sui piedi, avvertendo la sensazione di pesantezza, per poi ampliarla al resto del corpo, fino a raggiungere la parte più lontana, cioè la testa.
  • Il secondo step prevede di passare a considerare il calore, inteso come energia che agisce sui vasi sanguigni più periferici per dilatarli. In questo caso, dovrai immaginare che il tuo corpo diventi caldo, poco per volta, spostando l’attenzione gradualmente su diverse parti. Alle sensazioni dovranno seguire dei pensieri che descrivano quello che stai provando, ad esempio dicendoti che il tuo piede è caldo.
  • Il terzo esercizio si rivolge al cuore, con l’obiettivo di migliorare la sua funzionalità, cercando di renderla più omogenea e diminuendo la frequenza di fenomeni come aritmie e palpitazioni. Soprattutto, questa fase deve rafforzare lo stato di distensione che hai ottenuto con le due precedenti. Tutto ciò che dovrai fare sarà ripeterti una frase per 5 volte: “Il mio cuore batte calmo e regolare”.
  • Il quarto esercizio inferiore è dedicato al sistema respiratorio e cerca di avviare una respirazione profonda e rilassata, come quella che avviene mentre si dorme. Anche in questo caso, per cercare di controllarla, dovrai ripetere per 5 volte questo pensiero: “Il mio respiro è profondo e lento”.
  • Nel passaggio successivo dovrai spostare l’attenzione sugli organi situati nella zona addominale, come stomaco, fegato e intestino, avvertendo una sensazione di calore piacevole che puoi mettere a parole nella tua testa. Il pensiero sarà quindi: “Il mio stomaco è caldo in modo gradevole”.
  • L’ultimo settore che viene considerato nel protocollo classico di training autogeno è il cervello. L’allenamento mira a rilassare quest’organo passando per la vasocostrizione. Questo fenomeno comporta un restringimento dei vasi sanguigni, che quindi riduce la sensazione di calore. Di conseguenza si avvertirà un senso di freschezza che potrà essere messo in parole pesando per altre 5 volte: “La mia fronte è fresca in modo gradevole”.

Il training autogeno fa sempre bene?

Gli esercizi inferiori che abbiamo appena descritto possono essere utili per raggiungere dei benefici grazie a un training di base che può essere praticato da soli. Questi passaggi, infatti, eseguiti in successione, producono delle variazioni nelle funzioni fisiologiche che favoriscono la tranquillità e il benessere. Come abbiamo visto, una distensione fisica predispone anche un rilassamento psichico grazie alla sensazione di avere il controllo sul proprio corpo ed è utile soprattutto per affrontare alcuni problemi e difficoltà. Ma è sempre così?
Il fatto che il training autogeno comporti dei vantaggi in certe situazioni non deve farti pensare che sia la soluzione per tutti i mali. Ci sono alcuni casi, infatti, in cui questa tecnica non è adatta alla persona o, addirittura, è controindicata. In particolare, se soffri di bradicardia (ovvero noti che il tuo cuore batte a un ritmo più lento del normale), forse il training autogeno non fa per te: una diminuzione della tensione muscolare potrebbe rallentarlo ancora di più. Allo stesso modo, fai attenzione se hai altre malattie cardiache che hanno a che fare con il ritmo perché modificarlo potrebbe scombussolare un equilibrio già precario.
Anche alcun disturbi mentali non sono compatibili con questo metodo di rilassamento per via dello stato psichico che induce. Più precisamente, questo discorso vale per i disturbi psichiatrici dissociativi, dal momento che gli esercizi che si concentrano sul corpo e sulle sensazioni favoriscono una sorta di distacco e dissociazione dalla realtà, una condizione che in questi pazienti si verifica come sintomo della patologia. Anche nel caso di depressione bisogna fare una distinzione: mentre nei casi lievi il training autogeno può essere un aiuto, in quelli più gravi può accentuare l’isolamento dalla realtà e creare disagio.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.