La mentalizzazione: l’importanza di una capacità da coltivare tutti i giorni

La mentalizzazione è fondamentale per lo sviluppo di relazioni sane e per una buona salute mentale, e può essere potenziata attraverso la terapia e la pratica consapevole della consapevolezza emotiva.

Anche se forse non hai mai sentito questa parola, la mentalizzazione (detta anche teoria della mente, o ToM) è una capacità fondamentale nella vita di tutti i giorni, fatta di continue interazioni con altri esseri umani. Non solo: questa abilità si rivela utile nel gestire le relazioni sociali alle quali siamo esposti, ma nelle relazioni sociali stesse trova una palestra in cui allenarsi e continuare a migliorare.

Di seguito vedremo come, nel concreto, la mentalizzazione si rivela utile nella quotidianità e quali vantaggi offre.

Che cos’è la mentalizzazione

Il termine mentalizzazione di deve allo psicoanalista americano Peter Fonagy, ma all’epoca dei suoi studi era già diffusa la definizione di teoria della mente data da Wimmer e Perner negli anni ‘80, che ricalca in pieno quella di mentalizzazione. Questo concetto, nello specifico, è la capacita di comprendere in modo intuitivo gli stati mentali di se stessi e degli altri, ovvero di capire che emozioni stanno provando, che pensieri stanno facendo, che intenzioni hanno e che cosa credono. Sulla base di queste intuizioni è possibile, in certa misura, prevedere il comportamento che ne può conseguire.

Si tratta di un processo razionale, che prevede un ragionamento che si avvale di una rappresentazione che, come presupposto, ha la capacità di distinguere il proprio mondo interiore da quello degli altri e la consapevolezza che anche gli altri, esattamente come noi, sono esseri pensanti e senzienti, che hanno degli stati mentali che possono non coincidere con i nostri. Quindi è qualcosa di molto lontano dalla fusione che avviene con l’empatia. Questa, infatti, è una capacità del tutto diversa, una predisposizione a provare lo stesso stato d’animo di un’altra persona, condividendolo e avvertendolo come se fosse il proprio. È un’abilità calda, emotiva, mentre la mentalizzazione è un processo socio-cognitivo, razionale.

‍Allo stesso modo, la mentalizzazione si distingue anche dall’intelligenza emotiva, che invece si serve delle emozioni riferite a se stessi e agli altri per essere più efficaci e competenti a livello sociale nella realtà. Nella mentalizzazione, invece, intervengono non solo le emozioni ma anche le credenze, i pensieri e le intenzioni. È una capacità che richiede molto tempo per essere sviluppata e, prima di tutto, necessita di una buona conoscenza di se stessi e dei propri stati mentali. Le dinamiche che hanno luogo nella nostra mente, infatti, fungono da metro di paragone, da bussola, per orientarsi nel mondo della comprensione dei processi mentali degli altri.

Lo sviluppo della mentalizzazione

Data questa premessa, la diretta conseguenza è che la mentalizzazione non può essere né un’abilità innata né qualcosa che si acquisisce in fretta e in un colpo solo. Le ricerche di Fonagy e quelle di altri studiosi, infatti, hanno rivelato come la mentalizzazione si sviluppi insieme all’individuo, diventando sempre più completa man mano che la crescita prosegue. I bambini di pochi mesi iniziano ad approcciarsi all’interazione socio-cognitiva con l’altro grazie, ad esempio, all’attenzione condivisa, una competenza che si manifesta quando il piccolo cerca di attirare l’attenzione dell’adulto su un oggetto, che diventa il centro del focus per entrambi. Questo gesto implica che il bambino concepisca l’altro come un essere pensante, e rappresenta uno dei primi precursori della mentalizzazione.

Man mano che il bambino cresce, conquista altre scoperte, come il fatto che gli altri possono avere delle convinzioni differenti dalle sue e possano comportarsi in conseguenza a esse anche se sono sbagliate (la falsa credenza). Imparano anche alcuni modi di interazione particolari, come l’inganno, il bluff e la gaffe sociale, acquisendo sempre maggiore padronanza delle abilità che si stanno sviluppando e li preparano a intrattenere relazioni più profonde e complesse.

A che cosa serve la mentalizzazione nella vita di tutti i giorni?

Ma in che modo la mentalizzazione ci aiuta a essere più competenti e adeguati nella vita quotidiana? Questa capacità è essenziale per rendere più fluide le interazioni con gli altri, dal momento che riuscire a immaginare come si senta una persona o cosa stia pensando ci aiuta a trovare il modo giusto di comportarci in modo da non dire o fare nulla di sconveniente che possa offendere l’altro, farlo star male o irritarlo.

Inoltre, anche se mentalizzazione ed empatia, come abbiamo visto, sono due aspetti disgiunti della capacità di comprendere l’altro, non è detto che non possano essere collegate. Essere consapevoli di come deve sentirsi un’altra persona, magari qualcuno che sta soffrendo, può predisporre in noi il desiderio di aiutarla a migliorare la sua situazione in modo che non debba più stare male. Questo fatto è evidente anche negli studi condotti su bambini e ragazzi, dai quali risulta che chi ha buone capacità di mentalizzazione più facilmente mette in atto comportamenti di aiuto.

Esistono fondamentalmente due processi di cui ci serviamo per applicare la mentalizzazione nella vita di tutti i giorni. Nello specifico, parliamo di mentalizzazione esplicita quando attuiamo dei veri e propri ragionamenti sugli stati mentali nostri o di qualcun altro, e magari li esplicitiamo, come quando andiamo dallo psicologo; nella mentalizzazione implicita, invece, consideriamo in maniera intuitiva il punto di vista degli altri e lasciamo che le nostre intuizioni guidino il nostro comportamento, senza esplicitare i passaggi di pensiero che facciamo.

I deficit di mentalizzazione

Abbiamo detto che la mentalizzazione si acquisisce in maniera graduale nel corso dello sviluppo, ma le tappe non sono uguali per tutti, e ciascun individuo raggiunge un livello di competenze diverso. Addirittura, in certi casi la mentalizzazione può non svilupparsi a dovere, dando luogo a un’incapacità di gestire le interazioni sociali e le relazioni importanti, come accade in alcune psicopatologie.

Parte delle capacità raggiunte ‍dipende dalle primissime fasi di sviluppo: pare che i bambini che hanno stabilito un attaccamento sicuro con il caregiver siano predisposti a un migliore sviluppo della mentalizzazione. Questo perché i genitori hanno saputo fin da subito stabilire una buona risonanza emotiva che ha permesso loro di avere una maggiore consapevolezza delle emozioni e una più efficiente capacità di regolarle.

Al contrario, le ricerche sui gruppi psicopatologici, come quelle condotte sui pazienti con disturbo borderline di personalità, hanno dato tutt’altro esito. Le persone che soffrono di questo disturbo si trovano su una perenne altalena emotiva che totalizza le loro emozioni, provate in modo estremo e senza possibilità di riuscire a regolarle. Di conseguenza, non c’è spazio per la mentalizzazione. D’altra parte, per gli altri risulta allo stesso modo difficile entrare nel complesso mondo di una persona con disturbo borderline di personalità, dal momento che tutte le emozioni vengono vissute in modo esagerato, in un modo che gli altri non riescono a comprendere. Queste continue esperienze di incomprensione generano, a lungo andare, un senso di svalutazione e di solitudine che possono facilmente confondere la persona e accentuare l’impossibilità di avere il controllo sui propri stati mentali.

Una scarsa capacità della mentalizzazione, comunque, non deve mai essere confusa con l’alessitimia. Questo termine, infatti, non indica l’incapacità di comprendere e interpretare le proprie emozione, quanto piuttosto la difficoltà a dare loro un nome. È una difficoltà che rende difficile l’accesso alla mentalizzazione, ma non è sovrapponibile a una sua fragilità.

Mentalizzazione e percorso psicologico

In base a quanto abbiamo detto finora, possiamo facilmente dedurre quanto la mentalizzazione giochi un ruolo fondamentale nel condurre una vita relazionale soddisfacente, dal momento che rappresenta lo strumento per facilitare le interazioni ed essere adeguati in tutti i contesti sociali. Ma si tratta anche di una capacità che si rafforza non solo con la crescita, ma anche in modo strettamente collegato alle esperienze che ciascuno vive.

Da questo punto di vista, anche intraprendere un percorso psicologico allo scopo di conoscere in modo più approfondito se stessi può essere una risorsa utile per trarre informazioni preziose. Durante la terapia psicologica, infatti, il paziente è chiamato a riflettere in modo puntuale e preciso sui suoi stati mentali, sul modo in cui emozioni e pensieri influenzano il comportamento proprio e quello degli altri, acquisendo un bagaglio di conoscenze spendibile anche nella vita di tutti i giorni. Conoscere meglio i propri processi mentali può aiutare a gestire e regolare meglio le emozioni e i comportamenti, applicando la teoria nella pratica delle relazioni che intratteniamo secondo la nostra natura di animali sociali e ricavandone un maggiore benessere.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.