Cos’è l’autocaratterizzazione?

L’autocaratterizzazione è una tecnica sviluppata dallo psicologo George Kelly che serve al terapeuta per comprendere la prospettiva con cui un soggetto definisce se stesso.

Questo metodo consiste nel chiedere al paziente di descriversi in terza persona come se fosse il protagonista di un romanzo.

Attraverso l’autocaratterizzazione la persona riesce a raccontare se stessa in modo più oggettivo come se si osservasse dall’esterno. Durante la psicoterapia questa tecnica può essere utilizzata per indagare le caratteristiche di personalità di un paziente.

Andiamo ad approfondire a cosa serve la tecnica dell’autocaratterizzazione secondo la teoria dei costrutti personali dello psicologo Kelly, quali sono i suoi obiettivi e quando può essere utile.

La teoria dei costrutti personali

Lo psicologo americano George Kelly è noto per aver elaborato la teoria dei costrutti personali che si basa sull’idea che ogni persona è un sistema complesso in continua trasformazione. L’unico modo che abbiamo per conoscere una persona non è dunque quello di osservare il suo comportamento ma comprendere le sue intenzioni, pensieri e volontà.

Infatti l’azione che mettiamo in atto è sempre il risultato del modo in cui ciascuno di noi ha elaborato le informazioni, le ha intrecciate con i propri modelli di pensiero e le ha tradotte in un comportamento.

Il concetto di costrutto personale è riferito al modo in cui una persona costruisce in modo del tutto soggettivo la propria realtà. Per le sue teorie Kelly è considerato uno dei padri dell’orientamento costruttivista in psicologia.

In cosa differiscono tra loro gli individui?

Kelly risponderebbe che le differenze tra gli individui non dipendono tanto dalle diverse esperienze che fanno ma sul modo soggettivo in cui ognuno le interpreta.

Sulla base di queste considerazioni Kelly ha elaborato la tecnica dell’autocaratterizzazione che consente di esplorare in modo molto accurato la visione che un soggetto ha della realtà e di se stesso.

L’autocaratterizzazione: cos’è e a cosa serve?

Dalla teoria dei costrutti personali abbiamo colto che non esiste una realtà oggettiva ma che ogni esperienza può essere osservata diversamente a seconda della prospettiva del singolo soggetto.

Ne consegue che per comprendere il mondo interiore di una persona è fondamentale cogliere il suo punto di vista sul mondo.

Nell’ambito della psicoterapia diventa quindi importante cogliere i modelli di pensiero che orientano l’individuo nella sua percezione della realtà se si vuole conoscere in profondità il suo vissuto personale.

Per fare questo Kelly ha sviluppato una tecnica basata sulla narrazione spontanea di sè che ha chiamato autocaratterizzazione.

In cosa consiste l’autocaratterizzazione

La tecnica dell’autocaratterizzazione consiste nel chiedere al paziente di parlare di se stesso attraverso una descrizione impersonale.

In altre parole la consegna è di raccontare per iscritto la propria esperienza di vita in terza persona. Il paziente deve dunque immaginare di essere un osservatore esterno come ad esempio un caro amico o una persona familiare e descrivere se stesso attraverso quel punto di vista.

Questo esercizio si svolge durante una seduta di terapia dopo che tra paziente e psicologo si è già instaurata una buona alleanza terapeutica.

Si presuppone che in un clima di apertura e fiducia il soggetto sviluppi la consegna sentendosi accolto e rispettato in assenza di alcuna forma di giudizio. Compito del terapeuta sarà quello di rileggere i frammenti riportati dal paziente al fine di cogliere le espressioni utilizzate per descrivere se stesso per comprendere il significato soggettivo che si cela dietro ad ogni parola.

A partire da questo spunto il colloquio sarà orientato a fornire le adeguate interpretazioni e rimandare al paziente elementi utili a chiarire il rapporto che ha con se stesso.

Perchè usare l’autocaratterizzazione

La tecnica dell’autocaratterizzazione può essere molto utile durante le prime fasi di una psicoterapia e in questo caso serve al terapeuta per conoscere meglio la personalità del paziente.

In altri casi può essere utilizzata nelle fasi intermedie del percorso al fine di ricapitolare quali sono state le modifiche della percezione che il paziente ha di sè nel corso dell’intervento.

Qualcuno preferisce svolgere l’esercizio dell’autocaratterizzazione verso la conclusione di un percorso psicologico per ricapitolare i cambiamenti più salienti avvenuti durante l’intero processo terapeutico.

In tutte queste occasioni l’autocaratterizzazione si configura come una tecnica che riporta l’attenzione sui vissuti soggettivi e sull’insieme di convinzioni, esperienze e caratteristiche personali del paziente.

Cosa cambia dopo l’autocaratterizzazione?

Può sembrare strano che un esercizio apparentemente semplice come la descrizione di sè in terza persona possa avere così tanti benefici per un soggetto in terapia. In realtà bisogna fare qualche passo indietro per comprenderne a pieno l’efficacia.

Molti studi hanno dimostrato in questi ultimi anni che la narrazione di sè è uno strumento terapeutico fondamentale. Quando siamo posti nella condizione di doverci descrivere emergono una serie di pensieri, emozioni e modi di interpretare la realtà che sono espressione diretta della nostra personalità.

Il modo in cui ciascuno interpreta le esperienze è talmente personale e soggettivo da rendere talvolta impensabile che due persone abbiano partecipato alla medesima situazione quando la descrivono ad altri.

Già lo psicologo Bruner aveva individuato nella narrazione uno strumento imprescindibile per la costruzione del Sè.

In campo educativo ad esempio è fondamentale favorire nei bambini la capacità narrativa intesa come l’abilità di riconoscere come coerente e significativa la propria storia di vita. Allo stesso modo Kelly vuole vedere nell’autocaratterizzazione uno stimolo per restituire senso e significato alla complessa costellazione di esperienze che un individuo compie nel corso della sua esistenza. In questo caso l’esercizio prevede un passaggio ulteriore e cioè quello di definire se stessi attraverso gli occhi di chi ci osserva dall’esterno.

La condizione in cui ci si trova è dunque quella di osservare il proprio mondo dall’esterno. Cosa succede dopo aver descritto se stessi in terza persona? Il solo fatto di adottare un’altra prospettiva consente di rendere relativo il proprio punto di vista condividendo questa nuova conoscenza di sè con il terapeuta.

Il cambiamento più evidente consiste dunque nel ridefinire e riconsiderare quelle convinzioni che fino ad allora erano state ritenute assolute e definitive.

Il rapporto tra soggetto e oggetto

L’autocaratterizzazione è una tecnica che in qualche modo costringe un soggetto a rappresentarsi come un oggetto. D’altra parte questo è ciò che accade quotidianamente quando ciascun soggetto è di fatto un oggetto per gli altri.

Per quanto le altre persone possano conoscerci a fondo c’è infatti sempre la sensazione che nessuno sia in grado di entrare autenticamente nel nostro intimo.

A loro volta però le considerazioni che gli altri si fanno di noi e i loro pensieri nei nostri confronti possono condizionarci nelle scelte e nel modo in cui percepiamo noi stessi.

Talvolta può succedere che altre persone intorno a noi ci rimandano un’immagine di noi che non conoscevamo o che entra in conflitto con la considerazione che abbiamo di noi stessi. Pensiamo ad esempio a quelle situazioni in cui gli altri ci vedono forti quando in realtà noi sentiamo di essere intimamente molto fragili.

Non si tratta di due realtà differenti ed incompatibili ma bisogna considerarle entrambe valide all’interno di una cornice di complessità esistenziale.

E’ per questo motivo che l’autocaratterizzazione permette di ricucire quegli strappi che talvolta nascono da apparenti distanze tra il modo con cui percepiamo la nostra soggettività e il modo in cui ci viene rimandata dagli altri.

Ciò che conta è cogliere l’insieme dei significati a seconda della prospettiva e magari in questo modo riuscire a scoprire le ragioni per cui i nostri comportamenti possono essere diversamente interpretati.

Guardare a sé con occhi nuovi e diversi può quindi permettere di superare le facili contrapposizioni come forte o debole, abile o incapace, estroverso o timido e comprendere come in ciascuno di noi possano convivere contemporaneamente molteplici aspetti.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.