Confessioni di una quiet quitter

Cosa si prova ad essere una quiet quitter? Cosa significa il termine quite quitting? Leggi l'articolo per saperne di più.

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Quando penso al quiet quitting, mi torna in mente questo famoso spot. Il protagonista della pubblicità – “Renatino” – viene ricoperto di lodi per il suo stacanovismo: pur di fare bene il suo lavoro, non si prende mai giorni di riposo. La pubblicità uscì a fine 2021, e attirò parecchie critiche: critiche che forse, qualche anno fa, non ci sarebbero state.

Questo spot può essere un buon punto di partenza per riflettere sul lavoro e i suoi problemi. 

Cos’è il quiet quitting

Letteralmente, quiet quitting significa abbandonare lentamente, ma è una traduzione che può trarre in inganno. Diversamente dalla “Great Resignation” – il significativo e generalizzato aumento delle dimissioni volontarie –, fare quiet quitting non significa lasciare il lavoro, ma abbracciare una filosofia che potremmo chiamare “minimo sforzo, massima resa”. In pratica, si cerca di abbandonare l’idea che il lavoro sia la componente fondamentale della propria esistenza: che sia solo questa a definire l’identità e il senso della vita.

A differenza di Renatino, le nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori sembrano più inclini a preservare il benessere psicologico e a coltivare gli interessi che esulano dal lavoro. Il quiet quitting rappresenta quindi la riconquista del tempo e dello spazio: si lavora secondo quanto c’è scritto sul contratto, senza uscire dall’orario e dal ruolo concordati. Ne deriva una nuova consapevolezza sull'importanza della scelta del lavoro e delle aziende presso cui svolgere le mansioni lavorative.

 

L’origine del quiet quitting

Si stanno facendo molte ipotesi sulla genesi del fenomeno. Da un lato, può darsi che la colpa sia di un’idea stantia del lavoro e della leadership, che non ha retto alla prova del tempo; dall’altro, della mancanza di una cultura aziendale che dia la giusta importanza al benessere mentale di ognuno. Ed è probabile che il lavoro da remoto abbia accelerato i cambiamenti già in atto, mostrando un’alternativa agli schemi di comportamento consolidati. Cambiare lavoro alla ricerca di alternative migliori è ormai un tema all'ordine del giorno, tanto da coinvolgere lavoratori con una lunga carriera aziendale alle spalle, costretti a cambiare lavoro e a reinventarsi anche a 50 anni.

In attesa che gli studi ci diano risposte precise, in questo articolo voglio raccontarvi una storia: la mia.

 

Sono stata una quiet quitter

Non mi è facile ripercorrere quei mesi, ma questo sforzo è un passettino fuori dalla mia zona di comfort, e ogni tanto è giusto uscirne (anche se non sempre e non per forza).

L’anno scorso ero una stagista presso una piccola società di marketing e fundraising. Il mio job title era “HR Administrator”: detta semplice, si trattava di gestire le attività legate alle risorse umane, dalla selezione dei commerciali ai cedolini.

Sulla carta avrei dovuto occuparmi del personale, ma molto presto mi ritrovai a fare turni molto più lunghi del normale e a ricevere mansioni extra. Di fatto ero una tuttofare – una tuttofare lasciata a sé stessa.

L’entusiasmo iniziale svanì in fretta. Arrivarono i primi scricchiolii, le prime discrepanze. Dopo qualche tempo, attacchi di panico e fortissime emicranie. Il lavoro mi inseguiva, venivo contattata anche durante i fine settimana, ma le mie proteste si scontravano con la realtà dei fatti: “Questo è lavoro, si lavora in questo modo, si è sempre fatto così”. Nei colloqui di lavoro la narrazione è spesso diversa, con il rischio di accettare posizioni lavorative che non ci rispecchiano o non si allineano ai nostri bisogni.

Non è una frase molto originale: chissà quante persone prima di me l’avevano sentita e accettata. Io, però, ho avuto una reazione diversa. Ho fatto partire una specie di conto alla rovescia.Ho cominciato a lavorare solo negli orari prestabiliti, a mettere in discussione le normali procedure, a non prendere mansioni e responsabilità, a delegare massivamente. Ho abbandonato lentamente l’idea che quel lavoro dovesse essere la mia ragione di vita, e di omologarmi a quel contesto.In più, ho abbandonato lentamente anche il posto. Quando l’angoscia, gli stati depressivi e i fortissimi mal di testa sono diventati la norma, ho deciso che era il momento di dimettermi e concentrare l’attenzione sulla mia ripresa. E ora eccomi in Serenis.

 

Perché ho scritto questo articolo

La mia storia non è poi così speciale. Ma ho voluto raccontarla lo stesso, perché spesso ci scontriamo ancora con un mondo e una cultura del lavoro che omologano le aspirazioni collettive al profitto generale. Secondo una fetta del pensiero organizzativo, si vale tanto quanto si lavora. Il successo è proporzionale alle ore che si passano davanti al computer, ma talvolta gli stipendi non sono nemmeno adeguati e chiedere un aumento è difficile.Questo però si traduce in capitale mentale perduto, in meno ore di sonno e problematiche di ansia, ansia da rientro e stati depressivi. Il benessere mentale è una scoperta recente che di recente ha ben poco: il cambiamento è un processo lento e graduale, ma noi vogliamo fare la nostra parte.

In Serenis ho messo in atto i diversi insegnamenti appresi: rispettare il mio tempo, il mio spazio e il mio senso critico. E ho imparato che un nuovo modo di pensare al lavoro non solo è possibile, ma esiste già: un’occupazione che rispetta e stimola l’originalità dei suoi componenti, che si mette costantemente in discussione e che persegue un obiettivo strutturato e comune.In Serenis cerchiamo di garantire il benessere mentale di chi si affida a noi, e sarebbe ipocrita non dedicarci anche al nostro. Per quanto ne siamo consapevoli, a volte cadiamo in trappole mentali dettate dal nostro passato. Ma la cosa bella è che c’è sempre qualcuno disposto a riportarti nel qui ed ora.

 

La psicoterapia online di Serenis

Se stai cercando di ottenere un aiuto tramite uno psicologo-psicoterapeuta, allora Serenis è uno dei posti dove puoi trovare l'aiuto di cui hai bisogno online. È un servizio completamente online con solo psicoterapeuti certificati. Inoltre, ti offre l'accesso a molte informazioni su diversi argomenti di salute mentale.Questo significa che puoi avere tutto ciò di cui hai bisogno in un unico posto.Potrai incontrare tramite Serenis un professionista autorizzato senza lasciare la tua casa: semplicemente collegandoti al sito web in un momento che è conveniente per te.Su Serenis, i nostri specialisti capiscono che la vita presenta sfide uniche per tutti. Non importa chi tu sia o cosa tu abbia passato, il tuo passato non ti definisce, né deve determinare il resto della tua vita.Noi possiamo sostenerti nel superarlo; Serenis è a un solo clic di distanza.Tutto inizia con il vostro desiderio di vivere una vita migliore. 

 

Sitografia

Bojan Zeric, Che cos'è il quiet quitting, Wired sezione Lavoro, 2022.

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Domenico De Donatis
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.

DsMDott.ssa Martina Migliore
Dott.ssa Martina Migliore
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.

FRFederico Russo
Federico Russo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048.

Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara.

Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.