body ▲ Select Parent Subselection ▼

Confessioni di una quiet quitter

Quando penso al quiet quitting, mi torna in mente questo famoso spot. Il protagonista della pubblicità – “Renatino” – viene ricoperto di lodi per il suo stacanovismo: pur di fare bene il suo lavoro, non si prende mai giorni di riposo. La pubblicità uscì a fine 2021, e attirò parecchie critiche: critiche che forse, qualche anno fa, non ci sarebbero state.

Cos’è il quiet quitting

Letteralmente, quiet quitting significa abbandonare lentamente, ma è una traduzione che può trarre in inganno. Diversamente dalla “Great Resignation” – il significativo e generalizzato aumento delle dimissioni volontarie –, fare quiet quitting non significa lasciare il lavoro, ma abbracciare una filosofia che potremmo chiamare “minimo sforzo, massima resa”. In pratica, si cerca di abbandonare l’idea che il lavoro sia la componente fondamentale della propria esistenza: che sia solo questa a definire l’identità e il senso della vita.

A differenza di Renatino, le nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori sembrano più inclini a preservare il benessere psicologico e a coltivare gli interessi che esulano dal lavoro. Il quiet quitting rappresenta quindi la riconquista del tempo e dello spazio: si lavora secondo quanto c’è scritto sul contratto, senza uscire dall’orario e dal ruolo concordati.

L’origine del quiet quitting

Si stanno facendo molte ipotesi sulla genesi del fenomeno. Da un lato, può darsi che la colpa sia di un’idea stantia del lavoro e della leadership, che non ha retto alla prova del tempo; dall’altro, della mancanza di una cultura aziendale che dia la giusta importanza al benessere mentale di ognuno. Ed è probabile che il lavoro da remoto abbia accelerato i cambiamenti già in atto, mostrando un’alternativa agli schemi di comportamento consolidati.

In attesa che gli studi ci diano risposte precise, in questo articolo voglio raccontarvi una storia: la mia.

Sono stata una quiet quitter

Non mi è facile ripercorrere quei mesi, ma questo sforzo è un passettino fuori dalla mia zona di comfort, e ogni tanto è giusto uscirne (anche se non sempre e non per forza).

L’anno scorso ero una stagista presso una piccola società di marketing e fundraising. Il mio job title era “HR Administrator”: detta semplice, si trattava di gestire le attività legate alle risorse umane, dalla selezione dei commerciali ai cedolini.

Sulla carta avrei dovuto occuparmi del personale, ma molto presto mi ritrovai a fare turni molto più lunghi del normale e a ricevere mansioni extra. Di fatto ero una tuttofare – una tuttofare lasciata a sé stessa.

L’entusiasmo iniziale svanì in fretta. Arrivarono i primi scricchiolii, le prime discrepanze. Dopo qualche tempo, attacchi di panico e fortissime emicranie. Il lavoro mi inseguiva, venivo contattata anche durante i fine settimana, ma le mie proteste si scontravano con la realtà dei fatti: “Questo è lavoro, si lavora in questo modo, si è sempre fatto così”.

Non è una frase molto originale: chissà quante persone prima di me l’avevano sentita e accettata. Io, però, ho avuto una reazione diversa. Ho fatto partire una specie di conto alla rovescia.

Ho cominciato a lavorare solo negli orari prestabiliti, a mettere in discussione le normali procedure, a non prendere mansioni e responsabilità, a delegare massivamente. Ho abbandonato lentamente l’idea che quel lavoro dovesse essere la mia ragione di vita, e di omologarmi a quel contesto.

In più, ho abbandonato lentamente anche il posto. Quando l’angoscia, gli stati depressivi e i fortissimi mal di testa sono diventati la norma, ho deciso che era il momento di dimettermi e concentrare l’attenzione sulla mia ripresa. E ora eccomi in Serenis.

Perché ho scritto questo articolo

La mia storia non è poi così speciale. Ma ho voluto raccontarla lo stesso, perché spesso ci scontriamo ancora con un mondo e una cultura del lavoro che omologano le aspirazioni collettive al profitto generale. Secondo una fetta del pensiero organizzativo, si vale tanto quanto si lavora. Il successo è proporzionale alle ore che si passano davanti al computer.

Questo però si traduce in capitale mentale perduto, in meno ore di sonno e problematiche di ansia e stati depressivi. Il benessere mentale è una scoperta recente che di recente ha ben poco: il cambiamento è un processo lento e graduale, ma noi vogliamo fare la nostra parte.

In Serenis ho messo in atto i diversi insegnamenti appresi: rispettare il mio tempo, il mio spazio e il mio senso critico. E ho imparato che un nuovo modo di pensare al lavoro non solo è possibile, ma esiste già: un’occupazione che rispetta e stimola l’originalità dei suoi componenti, che si mette costantemente in discussione e che persegue un obiettivo strutturato e comune.

In Serenis cerchiamo di garantire il benessere mentale di chi si affida a noi, e sarebbe ipocrita non dedicarci anche al nostro. Per quanto ne siamo consapevoli, a volte cadiamo in trappole mentali dettate dal nostro passato. Ma la cosa bella è che c’è sempre qualcuno disposto a riportarti nel qui ed ora.

La psicoterapia online di Serenis

Se stai cercando di ottenere un aiuto tramite uno psicologo-psicoterapeuta, allora Serenis è uno dei posti dove puoi trovare l’aiuto di cui hai bisogno online. È un servizio completamente online con solo psicoterapeuti certificati. Inoltre, ti offre l’accesso a molte informazioni su diversi argomenti di salute mentale.

Questo significa che puoi avere tutto ciò di cui hai bisogno in un unico posto.

Potrai incontrare tramite Serenis un professionista autorizzato senza lasciare la tua casa: semplicemente collegandoti al sito web in un momento che è conveniente per te.

Su Serenis, i nostri specialisti capiscono che la vita presenta sfide uniche per tutti. Non importa chi tu sia o cosa tu abbia passato, il tuo passato non ti definisce, né deve determinare il resto della tua vita.

Noi possiamo sostenerti nel superarlo; Serenis è a un solo clic di distanza.

Tutto inizia con il vostro desiderio di vivere una vita migliore.

Sitografia

Bojan Zeric, Che cos’è il quiet quitting, Wired sezione Lavoro, 2022.

Questa pagina è stata verificata

I nostri contenuti superano un processo di revisione in tre fasi.

Scrittura

Ogni articolo viene scritto o esaminato da uno psicoterapeuta prima di essere pubblicato.

Controllo

Ogni articolo contiene una bibliografia con le fonti citate, per permettere di verificare il contenuto.

Chiarezza

Ogni articolo è rivisto dal punto di vista stilistico, per agevolare la lettura e la comprensione.

Revisori

reviewer

Dott. Raffaele Avico

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista certificato EMDR I

Ordine degli Psicologi del Piemonte num. 5822

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista EMDR. È membro della ESDT (European Society for Trauma and Dissociation) e socio AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione).

reviewer

Dott. Rosario Urbani

Psicoterapeuta specializzato in cognitivo comportamentale

Ordine degli Psicologi della Campania num. 6653/A

Laureato in Neuroscienze presso la Seconda Università di Napoli. Specializzato presso l’istituto Skinner in psicoterapia cognitivo comportamentale. Analista del comportamento ABA e specializzato anche nella tecnica terapeutica dell'EMDR.

reviewer

Dott.ssa Maria Vallillo

Psicoterapeuta specialista in Lifespan Developmental Psychology

Ordine degli Psicologi del Lazio num. 25732

Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in psicoterapia e psicologia del ciclo di vita presso l’Università la Sapienza di Roma. Esperta in neuropsicologia e psicodiagnostica e perfezionata in psico-oncologia.