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Cambiare lavoro per ritrovare se stessi

Il lavoro che svolgiamo ci definisce in quanto persone, indica il nostro status e la posizione che occupiamo nella gerarchia sociale. Proprio per questo cambiare lavoro significa anche cambiare in parte la nostra identità. Secondo il sociologo Luciano Gallino “il lavoro è il principale fattore di identità sociale dell’individuo e ciò che viene perduto in esso non può essere recuperato per altra via”. Con questa affermazione lo studioso intende riferirsi all’importanza che il lavoro assume sia sul piano individuale che sociale. Le ricerche dimostrano che nell’arco di una vita trascorriamo mediamente più tempo al lavoro di quello che passiamo dormendo, mangiando, riposando o che condividiamo insieme alle nostre famiglie. Il lavoro, per la maggior parte delle persone è l’aspetto determinante della vita al punto da essere uno dei principali obiettivi o sogni da realizzare. Quando qualcuno ci chiede di descrivere chi siamo quasi sempre mettiamo al primo posto la nostra occupazione lavorativa. Allora noi siamo il lavoro che svolgiamo? In realtà le nostre identità sono molteplici, sfaccettate e dinamiche. L’identità è una rappresentazione complessa e mutevole di sé. E’ per questo motivo che cambiare lavoro può essere una buona soluzione per individuare meglio il proprio posto nella società. Nella nostra società infatti non valgono più le regole del passato. Nelle epoche precedenti il figlio tendeva a svolgere la stessa professione del padre e vedeva nel lavoro un’attività fatta principalmente di rinuncia e fatica. La scelta lavorativa aveva come unico obiettivo quello di un guadagno economico che assicurasse la sopravvivenza della famiglia. Oggi le cose non stanno più così. A guidare la scelta dell’occupazione dei giovani sono soprattutto le convinzioni, i valori e le preferenze individuali. Attraverso il lavoro le nuove generazioni cercano la soddisfazione, la gratificazione e l’autorealizzazione personale. Anche le caratteristiche economiche della società contemporanea sono mutate profondamente. Un giovane adulto sa che cambiare lavoro frequentemente è parte di ogni carriera lavorativa soprattutto agli inizi. Anche quando si è più maturi con l’età cambiare lavoro può essere utile per superare la noia della routine oppure per cercare una posizione più appagante per se stessi. John Holland, professore emerito di psicologia presso l’Università del Michigan sostiene che scegliere una carriera congruente con i propri valori, preferenze e convinzioni costituisce la chiave sia per il successo professionale che per la soddisfazione personale.

Cambiare lavoro per scelta


È chiaro che le nostre identità lavorative possono cambiare nel tempo. L’identità e i comportamenti di un giovane laureato sono diversi da quelli di un professionista esperto. Scegliere di cambiare lavoro quando si è già adulti può servire per liberarsi di una vecchia identità che non ci appartiene più e per aggiungere nuovi elementi alla nostra identità. Talvolta il bisogno di cambiamento della sfera lavorativa è il primo passo di un percorso di ricerca personale. Lo psicoanalista C.G.Jung afferma che ad ogni professione corrisponde una specifica personalità al punto che le persone possono fondersi con il lavoro che svolgono. Ad esempio l’insegnante è sempre un educatore anche al di fuori della scuola oppure un cantante di successo non sempre può scindere la sua immagine pubblica da quella privata. A un livello estremo ci sono persone che possono addirittura essere inghiottite dal loro ruolo lavorativo fino a perdere completamente il senso di se stesse diventando dipendenti dal lavoro. In questi casi accade che si vive di solo lavoro dimenticando o trascurando tutto il resto delle esperienze vitali. Per queste persone cambiare lavoro può provocare una grave crisi di identità e il pensionamento potrebbe costituire un evento drammatico nelle loro vite. Un fenomeno sociale particolarmente rilevante in questi ultimi anni è quello delle grandi dimissioni. Si tratta di una tendenza nata in America che si è presto diffusa nel mondo occidentale per cui i dipendenti delle aziende di età compresa tra i 26 e i 35 anni hanno deciso di licenziarsi in massa. La scelta di cambiare lavoro in questo caso è dovuta al desiderio di ottenere maggiori gratificazioni economiche e soprattutto di trovare un’occupazione più rispondente alle proprie aspettative. Stanchi di lavorare in contesti poco appaganti i giovani mettono al primo posto la propria salute mentale, la possibilità di avere a disposizione più tempo libero e la ricerca di una maggiore corrispondenza tra tipo di occupazione e valori personali. A dare avvio a questo nuovo modello lavorativo è stata anche la pandemia che ha portato le nuove generazioni a rivedere le proprie priorità nella vita.

Quando cambiare lavoro diventa una necessità


Sono molte le situazioni in cui l’occupazione lavorativa procura un profondo e duraturo malessere individuale. Sono i casi in cui la persona non si sente soddisfatta della sua attività a causa di orari stressanti, carichi di lavoro eccessivi o turni sfiancanti. Può anche subentrare una demotivazione dovuta a condizioni lavorative poco gratificanti economicamente o a causa di relazioni conflittuali con i colleghi. Esistono delle vere e proprie patologie legate al mondo del lavoro che sono oggetto di attenzione da parte degli psicologi. In queste situazioni cambiare lavoro diventa necessario per ripristinare il proprio benessere psicologico.

Stress da lavoro correlato


Il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) definisce lo stress da lavoro correlato come la condizione di malessere psicologico vissuta da un lavoratore quando si trova a vivere condizioni di squilibrio tra le richieste aziendali e le sue possibilità di soddisfarle. Il datore di lavoro deve dunque garantire un ambiente lavorativo che sia il più possibile sereno e che permetta una crescita personale e professionale commisurata alle capacità dei suoi dipendenti. Si tratta di una vera e propria malattia professionale che genera nel lavoratore forti disagi psicologici, disturbi mentali e può comportare problemi di natura fisica.

Burnout


Anche se non è classificato come condizione medica il burnout è incluso nel manuale della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11) come fenomeno legato all’attività occupazionale. Il burnout è una sindrome che si riferisce in particolare alle professioni che riguardano le relazioni di aiuto come quelle di infermieri, medici, psicologi, insegnanti. È caratterizzato da alcune dimensioni sintomatiche che possono assumere diversi livelli di gravità nel soggetto:

  • esaurimento fisico o emotivo;
  • aumento della distanza mentale dal proprio lavoro e frequenti assenze fino ad arrivare al licenziamento;
  • sentimenti di scarsa affettività intesi come perdita della capacità empatica e forme di cinismo;
  • ridotta efficacia professionale, con un chiaro abbassamento delle performance lavorative.

Mobbing


il mobbing può essere assimilato ad una forma di bullismo che viene esercitato tra adulti in ambito lavorativo. Il mobbing sul posto di lavoro riguarda gruppi di persone che prendono di mira un collega attraverso comportamenti vessatori e minacciosi. La vittima di mobbing subisce diversi tipi di molestie dai colleghi o dal datore di lavoro:

  • Aggressività verbale: i colleghi si rivolgono alla vittima con toni bruschi o sgradevoli oppure la comunicazione verbale si basa su veri e propri insulti o commenti sarcastici;
  • Ostruzionismo: le vittime di mobbing vengono deliberatamente ignorate e i loro suggerimenti, progetti o iniziative sono ostacolati dai colleghi. Talvolta vengono messe in atto vere e proprie strategie per bloccare ogni sua proposta;
  • Esclusione: le persone che subiscono mobbing spesso vengono escluse e persino isolate sul posto di lavoro. L’esclusione può avvenire tagliando la vittima fuori dalle comunicazioni sia in presenza che virtuali o non venendo invitato ad importanti riunioni e agli incontri informali tra i colleghi come i pranzi di lavoro;
  • Pettegolezzi e calunnie: i colleghi possono mettere in giro falsi pettegolezzi sulla vittima per umiliarla e indebolirla. A volte il pettegolezzo è solamente una calunnia inventata per mettere la vittima in ridicolo, in altri casi potrebbe invece rivelare informazioni personali che gli procurano un forte imbarazzo anche al di fuori dell’ambiente lavorativo.

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Revisori

reviewer

Dott. Raffaele Avico

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista certificato EMDR I

Ordine degli Psicologi del Piemonte num. 5822

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista EMDR. È membro della ESDT (European Society for Trauma and Dissociation) e socio AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione).

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Dott. Rosario Urbani

Psicoterapeuta specializzato in cognitivo comportamentale

Ordine degli Psicologi della Campania num. 6653/A

Laureato in Neuroscienze presso la Seconda Università di Napoli. Specializzato presso l’istituto Skinner in psicoterapia cognitivo comportamentale. Analista del comportamento ABA e specializzato anche nella tecnica terapeutica dell'EMDR.

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Dott.ssa Maria Vallillo

Psicoterapeuta specialista in Lifespan Developmental Psychology

Ordine degli Psicologi del Lazio num. 25732

Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in psicoterapia e psicologia del ciclo di vita presso l’Università la Sapienza di Roma. Esperta in neuropsicologia e psicodiagnostica e perfezionata in psico-oncologia.