Sindrome di Peter Pan: come affrontarla?

Mostrare resistenza persistente o un rifiuto di assumere responsabilità adulte e di affrontare i compiti associati all’età adulta è tra le caratteristiche associate alla sindrome di Peter Pan.
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Hai mai sentito parlare della sindrome di Peter Pan? Non si tratta di un vero disturbo riconosciuto, ma è piuttosto un modo di essere, di alcuni adulti, che sembrano fare di tutto per non assumersi mai le responsabilità, come a voler ritardare il momento dell’ingresso nell’età adulta e della propria crescita personale.

Di seguito parleremo in modo approfondito di come riconoscere queste persone, cosa possono fare per migliorare e come si dovrebbe comportare una persona molto vicina a loro.

Cos’è la sindrome di Peter Pan?

La sindrome di Peter Pan non è ufficialmente riconosciuta come un disturbo mentale nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). Si tratta piuttosto di un atteggiamento che si manifesta attraverso una serie di comportamenti indicativi della resistenza a crescere e a assumersi le responsabilità tipiche dell’età adulta. Gli individui affetti da questa sindrome sono adulti a tutti gli effetti ma mostrano una mancanza di maturità emotiva, manifestata principalmente attraverso comportamenti infantili.

Il termine “sindrome di Peter Pan” ha origine dal libro dell’autore Dan Keley, intitolato “Gli uomini che non volevano crescere” (Milano, Rizzoli, 1985). Questo libro è spesso citato in riferimento alla “malattia del nostro tempo”, ossia l’immaturità: atteggiamento di resistenza verso il processo di crescita e maturazione per stare bene con sé stessi.


sindrome di peter pan citazione

“Dimenticali, Wendy. Dimenticali tutti. Vieni con me dove non dovrai più preoccuparti delle cose dei grandi”.

— Peter Pan

Il Puer Aethernus in letteratura e psicologia

Il termine latino “Puer Aeternus“, o “bambino eterno”, è utilizzato in psicologia per descrivere una personalità caratterizzata da un persistente attaccamento all’infanzia o alla giovinezza, con difficoltà nell’assumere le responsabilità proprie dell’età adulta. Questa condizione è spesso associata alla sindrome di Peter Pan.

Numerosi autori in letteratura e psicologia hanno esplorato il concetto del Puer aeternus:

  • Giovanni Pascoli, poeta italiano del XIX secolo, ha trattato il tema del bambino eterno in diversi componimenti poetici, esplorando l’idea di un’eterna giovinezza, spesso associata a una nostalgica ricerca di ritorno a uno stato di innocenza e felicità.
  • James Hillman, psicologo analista junghiano, ha scritto ampiamente sul concetto di bambino eterno e sull’importanza dell’immaginazione e dell’anima nell’esperienza umana, esplorando come il puer aeternus possa manifestarsi in vari aspetti della vita psichica e influenzare le relazioni e lo sviluppo personale.
  • Carl Gustav Jung, psichiatra svizzero, ha introdotto il concetto di puer aeternus nella psicologia analitica, indagando il fenomeno come manifestazione dell’inconscio e dei complessi psicologici, e esplorando come influenzi il processo di individuazione e l’integrazione psichica.
  • Marie-Louise von Franz, psicanalista e collaboratrice di Jung, ha scritto diversi libri che esplorano il concetto di bambino eterno e la sua relazione con l’inconscio collettivo, offrendo una prospettiva approfondita sulle implicazioni del puer aeternus nella psiche umana.

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Come capire se si ha la sindrome di Peter Pan?

Trattandosi di un modo di essere e non di una malattia fisica, ciascuno ha il suo modo di manifestare la sindrome di Peter Pan. Ma in generale, ci sono delle caratteristiche presenti in tutti gli adulti che vogliono rimanere bambini, o quasi.

Il rapporto con se stessi

Gli adulti con sindrome di Peter Pan spesso dimostrano una notevole incapacità di prendersi cura di sé stessi e non mostrano interesse nell’imparare o migliorare in questo senso. Sono dipendenti dagli altri per le necessità quotidiane, anche quelle essenziali per la sopravvivenza, come cucinare. Questo comportamento è tipicamente infantile: preferiscono che gli altri si occupino dei loro bisogni.

Inoltre, è comune anche la tendenza a evitare di prendere decisioni importanti che potrebbero plasmare il loro futuro. Chi soffre di questa sindrome tende a delegare o, se costretto a decidere, si ritira dall’assumersi responsabilità.

Il rapporto con il denaro è spesso problematico: tendono a gestire male le finanze, spesso dilapidando risparmi e guadagni senza riuscire a mantenere un equilibrio finanziario. Mostrano anche una mancanza di volontà e interesse nel migliorare la propria situazione.

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Il rapporto con gli altri e con il mondo

Le persone con sindrome di Peter Pan tendono ad avere un approccio particolare nei loro rapporti interpersonali. Quando si tratta di instaurare legami profondi, che siano amicizie o relazioni amorose, mostrano una forte resistenza. Questo avviene perché evitano di impegnarsi con gli altri, poiché ritengono che qualsiasi tipo di legame a lungo termine implichi responsabilità che preferiscono evitare. Di conseguenza, le loro relazioni rimangono superficiali.

Questo tipo di comportamento può essere anche associato alla crisi di mezza età, un periodo in cui molte persone affrontano domande riguardo al significato della vita e alle loro scelte. La sindrome di Peter Pan può rappresentare una forma di resistenza a crescere e ad affrontare le sfide proprie dell’età adulta, che può emergere in questo periodo di transizione.

Inoltre, mancano loro la maturità emotiva che ci si aspetterebbe a quell’età. Questo si traduce in un’incapacità di gestire i conflitti e le discussioni tipiche delle relazioni adulte quotidiane. Temendo di non essere in grado di gestire questi confronti, adottano comportamenti di evitamento. Possono deviare sistematicamente ogni possibilità di scontro e persino isolarsi per evitare situazioni scomode che potrebbero portare a confronti.

crisi adulta e sindrome di peter pan

Sintomi della sindrome di Peter Pan

Per riassumere, i sintomi principali della sindrome di Peter Pan sono i seguenti:

Rapporto con sé stessiRapporto con gli altri e con il mondo
Dipendenza totale dagli altri per le attività quotidiane e per soddisfare i bisogni primari, anche a 30 anni o più.Reticenza nel costruire legami profondi e duraturi con gli altri, evitando coinvolgimenti emotivi che implicano responsabilità e impegno.
Evitare di assumere responsabilità adulte e prendere decisioni importanti per il proprio futuro; tendenza a delegare o ad astenersi dal decidere.Maturità emotiva inferiore rispetto all’età cronologica, incapace di gestire conflitti e confronti tipici delle relazioni adulte, con tendenza a evitare discussioni e isolarsi per evitarle.
Difficoltà nella gestione del denaro, tendenza a dissipare risparmi e guadagni senza preoccuparsi delle conseguenze finanziarie a lungo termine.Comportamento evitante nei confronti dei conflitti e delle responsabilità sociali, con tendenza a isolarsi per evitare situazioni scomode o imbarazzanti.
Assenza di volontà nel migliorare la propria situazione; accettazione passiva della dipendenza dagli altri senza avvertire il bisogno di assumersi responsabilità personali.Difficoltà nell’affrontare sfide e adattarsi a nuove situazioni, con tendenza a restare in contesti familiari e confortevoli anziché cercare nuove esperienze.
Resilienza emotiva e psicologica limitata; mancanza di capacità di autoregolazione e di adattamento a situazioni stressanti o difficili.Tendenza a privilegiare il divertimento e l’intrattenimento rispetto alla costruzione di obiettivi a lungo termine e al perseguimento di carriere o relazioni significative.

Perché gli adulti si comportano in modo infantile?

Diversi esperti hanno ipotizzato che le radici della sindrome di Peter Pan possano risalire all’infanzia e al tipo di rapporto con i genitori. Erik Erikson, psicologo dello sviluppo noto per la sua teoria degli stadi psicosociali, ha esplorato il ruolo delle esperienze infantili nel determinare lo sviluppo dell’identità e della personalità. Uno degli aspetti chiave dunque, potrebbe essere lo stile di attaccamento sviluppato durante l’infanzia.

Secondo ricerche psicologiche infatti, il bambino adatta il suo comportamento emotivo in risposta ai genitori, cercando di mantenere una vicinanza emotiva con loro. In alcuni casi di sindrome di Peter Pan, si ipotizza un’associazione con uno stile di attaccamento evitante, in cui il bambino impara a non esprimere emozioni negative per paura di creare distanza emotiva dai genitori. Questo può risultare in una difficoltà ad affrontare l’intimità emotiva con gli altri in età adulta (Bowlby, 1988).

Un altro fattore da considerare è lo stile educativo dei genitori. Secondo Susan Krauss Whitbourne, psicologa dello sviluppo presso l’Università del Massachusetts Amherst, “I genitori che sono troppo permissivi o protettivi possono anche contribuire a un atteggiamento evitante verso le responsabilità future” ( The Search for the Forever Child, Psychology Today).

Inoltre, alcuni tratti della sindrome di Peter Pan possono sovrapporsi con il disturbo narcisistico di personalità. Questo suggerisce che gli adulti con tale sindrome possano condividere caratteristiche narcisistiche, come la mancanza di assunzione di responsabilità, la tendenza a incolpare gli altri per i fallimenti personali e il privilegiare i propri obiettivi e buoni propositi a discapito del benessere altrui (American Psychiatric Association, 2013).

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Sindrome di Peter Pan: cosa fare?

Se ti riconosci nella sindrome di Peter Pan, avrai compreso come il tuo atteggiamento possa essere limitante per te e per le persone che ti stanno intorno. Cercare di cambiarlo è un percorso lungo, che puoi affrontare insieme a un professionista della salute mentale. Con Serenis, puoi prenderti cura di te stesso attraverso la psicoterapia online.

Come aiutare una persona con la sindrome di Peter Pan?

Se riconosci questa descrizione in una persona molto vicina a te o con cui hai una relazione, potresti chiederti come affrontare questa situazione. Il primo passo è evitare di colpevolizzare la persona: cerca piuttosto di comprendere le origini del suo atteggiamento e accetta che chi soffre della sindrome di Peter Pan ha difficoltà a assumersi le proprie responsabilità.

Questo non significa rinunciare: impara a usare l’assertività nella comunicazione, esprimendo in modo chiaro e apertamente i tuoi bisogni e sentimenti. Questo è il primo passo per responsabilizzare la persona vicina a te. Inoltre, stabilisci dei limiti e suddividi compiti da condividere, in modo che entrambi contribuiste alla relazione senza dipendenza reciproca.

Se l’altra persona sembra non essere collaborativa e non mostra interesse a cambiare il suo atteggiamento per rispondere alle tue esigenze, potresti dover fare un bilancio realistico e chiederti se questa relazione sia veramente sana per te. Metti la tua salute mentale al primo posto e valuta se hai bisogno di cambiare vita. È importante considerare se la relazione è soddisfacente e sostenibile per te, senza causarti eccessivo disagio.

Fonti:

  • FAIGEL HC. THE BARRIE SYNDROME; PETER PAN AS THE DRAMATIZATION OF EMOTIONAL RETARDATION. Clin Pediatr (Phila). 1965 Jun;4:342-7. PMID: 14296808.
  • Quadrio, Carolyn. (1982). La sindrome di Peter Pan e Wendy. Il giornale di psichiatria australiano e neozelandese. 16.23-8. https://doi.org/10.3109/00048678209161187.
  • Smith, Adriano. (2012). La storia di Wendy: prospettive analitiche su Peter e Wendy di JM Barrie. Il giornale di psicologia analitica. 57.517-34. https://doi.org/10.1111/j.1468-5922.2012.01993.

Dott.ssa Martina Migliore

Approccio:
Titolo di studio
Descrizione
Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

reviewer

Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

reviewer

Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.