Cos’è la solitudine e quando deve essere trattata

La solitudine diventa un problema quando diventa cronica o eccessiva, influenzando negativamente il benessere emotivo e fisico di una persona. Deve essere trattata quando interferisce con la qualità della vita. Scopri come chiedere aiuto e a chi.

Per sua natura l’essere umano è un animale sociale. Lo dimostra il fatto che, fin da tempi antichi, abbia vissuto in tribù e ancora oggi le sue abitudini non siano tanto diverse: molte sono le persone che cercano occasioni per svagarsi con gli amici e hanno il sogno di creare una famiglia. Per questo motivo chi passa tanto tempo da solo viene visto come curioso, fino a destare, a volte, qualche preoccupazione.

Ma la solitudine è sempre una condizione in cui ci si ritrova contro la propria volontà o può essere il frutto di una scelta di vita? Soprattutto, quando è necessario chiedere aiuto a un professionista? Di seguito parleremo proprio di questo.

Tutta la solitudine è negativa?

Il punto di partenza fondamentale è stabilire una differenza tra il sentirsi soli e l’essere una persona solitaria. La lingua inglese ci aiuta a comprendere meglio la distinzione perché utilizza due termini diversi, rispettivamente solitude e loneliness.

Nel primo caso, parliamo di una condizione che non viene scelta dall’individuo, che può capitare nel corso della vita di chiunque per via del susseguirsi degli eventi. È uno stato d’animo che viene percepito come negativo e che causa malessere fino a diventare, a lungo andare, logorante. Ciò può comportare conseguenze alle quali bisogna prestare attenzione, dal momento che possono creare disturbi mentali o disagi importanti. Ad esempio, una persona che soffre particolarmente per questa condizione può scivolare in una depressione, sviluppare dei sintomi ansiosi o perdere fiducia nel futuro.

Nel secondo caso, invece, parliamo di qualcosa che viene cercato in maniera attiva: la persona ha piacere a rimanere da sola con i suoi pensieri, dedicare del tempo a se stessa piuttosto che condividerlo con gli altri e sentirsi padrona del suo tempo. Sono gli individui di cui comunemente si dice essere dei solitari, che traggono benessere dal loro stare da soli.

Infine, ci sono delle situazioni che combinano queste due caratteristiche, ad esempio il fenomeno degli hikikomori, un fenomeno che sta sempre più prendendo piede tra i giovani che, in parte volontariamente, si creano una routine all’interno delle mura domestiche, con l’obiettivo di isolarsi da un mondo esterno con il quale fanno fatica a interagire. Anche una delusione d’amore può indurre a cercare rifugio nella solitudine, nonostante questa a sua volta risvegli pensieri tristi e si preferirebbe, piuttosto della compagnia di se stessi, quella della persona che ci ha lasciati.

In breve, non tutta la solitudine è negativa: a volte è necessaria per attraversare un momento difficile, mentre per alcune persone è una benedizione. A seconda dell’individuo che la sperimenta, può essere un fenomeno positivo e costruttivo, o negativo e con un grande potenziale dannoso. Per quanto possa essere una condizione non desiderata, infatti, il sentirsi soli può innescare un circolo vizioso di frustrazione, resa e diventare, infine, abitudine che sfocia in un’incapacità e in una paura di stare con gli altri. Ciò impedisce, di fatto, il miglioramento della situazione.

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‍La solitudine come stato mentale

C’è poi un’altra distinzione da fare: a volte la solitudine è oggettiva, qualcosa che anche gli altri possono vedere, viene imposta dalla situazione e combacia con lo stato sociale di una persona isolata. Si tratta, insomma, di una solitudine reale. Ma il sentirsi soli, a volte, non corrisponde a ciò che veramente si sta vivendo: può capitare, infatti, di essere circondati da molte persone affezionate eppure non sentire la loro compagnia e il loro supporto. Ci si sente abbandonati mentre si sta attraversando un periodo difficile e non si percepiscono l’aiuto e l’affetto altrui. Questa solitudine interiore è quella che causa le sofferenze più complesse, perché si tratta di un pensiero che non ha un riscontro concreto ma è il modo di esprimere una sofferenza.

La solitudine interiore che abbiamo appena descritto è subdola e affonda le radici nella sua vittima, producendo in continuazione pensieri tristi e sconfortanti. Questi possono anche diventare intrusivi e quasi delle vere e proprie ossessioni che causano un malessere tale da rendere necessario un aiuto professionale.

Quando è meglio chiedere aiuto?


Quindi, in quali occasioni è necessario prendere l’iniziativa per cambiare la situazione? Tutto dipende da come si vive la solitudine, se come una condizione che viene attivamente ricercata o frutto degli eventi.

In pratica, quando la solitudine è desiderata perché la persona vuole sconnettersi dalla realtà e dagli altri per dedicare tempo a se stessa e alle sue riflessioni, le sensazioni positive che questo stato produce non rendono necessaria una richiesta di aiuto. Al contrario, molte volte si tratta di brevi periodi che richiedono un’introspezione, una riflessione su se stessi che può essere condotta solo nell’isolamento e rappresenta un’occasione di crescita personale. In pratica, la solitudine non viene percepita in senso negativo.

All’opposto troviamo la solitudine che viene semplicemente subita. Può essere dovuta a un vero allontanamento, alla fine di una relazione o anche a una scarsa qualità dei rapporti con gli altri, che di solito sono superficiali e poco approfonditi, al punto da avere pochi spunti di condivisione e da non riuscire ad aprirsi abbastanza da sentirsi compresi.

Ci sono alcuni eventi che possono causare un senso di isolamento, come la perdita di una persona cara durante un lutto, una separazione, ma anche un imprevisto che ci fa sentire vulnerabili, come la perdita del lavoro in una condizione economica già precaria che ci fa vedere gli altri come ostili. A volte questo sentirsi soli passa quando il contesto migliora, ma se non succede può evolversi in situazioni peggiori, come una depressione anche severa. Ecco allora che il desiderio di uscirne spinge a chiedere l’intervento di uno psicologo o di una psicologa. Ma come si può capire quando rivolgersi a un professionista prima che la situazione diventi grave? Come si riconosce il momento giusto?

Quando la solitudine diventa un sintomo?

Per rispondere a questa domanda, quindi, bisogna prima di tutto considerare il contesto in cui la solitudine accade. Se questo status è una scelta e cerchi di rimanere da solo o da sola per dedicare del tempo alla tua persona, desiderando l’isolamento, la condizione di isolamento non deve preoccupare, dal momento che con tutta probabilità sarà momentanea e gestibile. Ma, come abbiamo detto, il discorso cambia quando la solitudine non è voluta e comporta un senso di malessere, abbandono e tristezza oppure ansia. Insomma, quando soffri per la situazione che si è creata, la solitudine diventa un sintomo e può darsi che sia un aspetto che ha a che fare con una patologia, o che rischia di darvi luogo, rendendo difficile il normale svolgimento della vita quotidiana.

In questi casi la solitudine deve metterti in allarme: quando ti senti solo o sola in un modo che ti fa soffrire o che non è un tuo desiderio, dovresti considerare di rivolgerti a un professionista che ti aiuti a trovare una via d’uscita. In particolare, presta attenzione quando questo stato mentale ti crea delle difficoltà nei rapporti con gli altri, lasciandoti un senso di inadeguatezza o di insicurezza, che ti rende vulnerabile al giudizio. Può darsi che siano molte le persona che ti circondano con affetto, ma ciò non ti impedisce di sentire un vuoto dentro di te.

Anche il corpo parla, quando stai soffrendo: potresti allora accusare problemi fisici che non hai mai avuto, come una difficoltà a dormire serenamente, segni di agitazione (come palpitazioni o ipertensione). Addirittura l’ammalarsi spesso può essere correlato alla depressione: gli studi scientifici, infatti, dimostrano che un disturbo mentale di questo tipo predispone a un indebolimento del sistema immunitario e un conseguente aumento delle risposte infiammatorie dell’organismo. Se ti riconosci in queste descrizioni, è il momento di chiedere aiuto, e grazie al servizio di psicoterapia online offerto da Serenis potrai trovare il professionista perfetto per te.

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Revisori

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Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.