Che cos’è l’attrition bias e cosa comporta

L’attrition bias è un errore particolarmente importante in ambito scientifico e statistico: di cosa si tratta e cosa fare per evitarlo

Ognuno di noi ha familiarità con i bias cognitivi perché possono capitare a tutti, ogni giorno e in diverse circostanze della vita.

Tuttavia, ci sono anche dei bias che riescono a comparire in ambiti più complessi, come quello della ricerca scientifica e che, se attivati, possono in qualche maniera compromettere i risultati di uno studio.

Un esempio di tutto ciò è l’attrition bias.

In questo articolo spiegheremo esattamente di cosa si tratta.

Cos’è l’attrition bias

Come si può leggere su un articolo redatto dall’Università del Nebraska, l’attrition bias è una delle più grandi minacce in ambito scientifico e statistico perché è in grado di influenzare i gruppi di persone presi in considerazione per un determinato studio.

Il motivo è molto semplice: con attrition bias si intende un insieme di partecipanti che si ritira prima del completamento di un esperimento scientifico. Persone che differiscono in modi specifici da quelle che, invece, restano.

L’attrition bias è quindi un errore sistematico che prescinde dal numero di partecipanti che se ne vanno, o almeno finché esiste una differenza tra le persone che restano e quelle che decidono di non partecipare più.

Un problema che nella maggior parte dei casi si presenta quando i dati vengono raccolti in due o più momenti nel tempo. Con il passare delle stagioni, infatti, alcune persone potrebbero trasferirsi, oppure non avere più le risorse mentali e materiali per partecipare a determinati studi.

Ciò vuol dire che si va a logorare il campione originale perché la composizione cambia così tanto che i risultati non sono più generalizzabili.

Come prevenirlo

In un articolo di Mason del 1999 si può leggere che per prevenire l’attrition bias è importante invogliare le persone a rimanere nello studio e creare una vera e propria identità di progetto.

In poche parole, l’autore sostiene che offrire denaro e altri incentivi a coloro che fanno parte del campione di ricerca, sviluppare un solido sistema di tracciamento per identificare costantemente la posizione e lo stato dei partecipanti, e mantenere brevi i colloqui di aggiornamento con loro, sono degli ottimi modi per prevenire questo fenomeno.

Altri studiosi suggeriscono di raccogliere informazioni di contatto dettagliate sui partecipanti e di utilizzare promemoria telefonici.

Come rilevare l’attrition bias

Non sempre, tuttavia, si riesce a prevenire l’attrition bias e per questo, in alcune circostanze, diventa necessario rilevarlo. Le differenze tra coloro che abbandonano prematuramente uno studio e quelli che invece rimangono, possono essere valutate conducendo un’analisi di regressione logistica, ovvero tramite un potentissimo strumento di previsione.

Tutto ciò diventa possibile perché entrambi i gruppi hanno partecipato alla prima ondata dello studio, e quindi perché sono disponibili dati su cui confrontare i due gruppi.

Le minacce alla validità interna dovute all’attrition bias possono essere testate mettendo a confronto le matrici di correlazione della prima ondata del campione complessivo e quelle del campione longitudinale, che include solo i restanti.

Tutto questo si può fare in due modi:

  • ciascuno dei coefficienti di correlazione (ad esempio, la correlazione tra età e livello di depressione) deve essere confrontato utilizzando il test statistico z di Fisher. Se si ottiene un punteggio z significativo, vuol dire che i due coefficienti sono significativamente diversi, indicando una distorsione dovuta a questo bias;
  • utilizzare un programmi come LISREL o AMOS per verificare se le due matrici di correlazione sono le stesse. Se il test non è significativo, si può presupporre che le due matrici siano equivalenti, senza apparenti attrition bias.

Esempi di attrition bias

Per capire meglio come funziona l’attrition bias abbiamo preso in considerazione due esempi. Il primo riguarda uno studio sui fattori psicosociali tra pazienti con patologie cardiache, che ha mostrato che coloro che avevano completato tale ricerca differivano nelle caratteristiche cliniche e psicosociali da coloro che lo avevano abbandonato prima della fine. Questa differenza, nonostante la stessa patologia, potrebbe essere dovuta all’attrition bias.

Un’altra ricerca, che ha indagato la qualità della vita tra pazienti che si sono dovuti sottoporre al trattamento aggressivo del cancro renale, ha registrato alti tassi di abbandono a causa della tossicità della malattia stessa, quindi l’aggravarsi delle condizioni e persino la morte (64% nel gruppo di controllo; 70% nel gruppo di intervento).

L’analisi dei soggetti ancora partecipanti allo studio, tuttavia, non ha mostrato differenze nella qualità della vita. In questo caso, l’impatto dell’attrition bias ha suggerito che, anche con la stessa percentuale di abbandono, in entrambi i gruppi si è verificata una stima distorta.

Come correggere l’attrition bias

Attualmente in letteratura c’è un ampio dibattuto sulle modalità con cui correggere l’attrition bias.

Nonostante la mancanza di consenso, la correzione di questo errore non può essere casuale e, in più, viene comunemente suddivisa in 2 categorie:

  • la correzione dei dati quando il meccanismo dell’abbandono da parte dei soggetti è noto e quindi quando il ricercatore sa quali caratteristiche sono legate all’abbandono dello studio;
  • le situazioni in cui non si conoscono le cause.

I bias di selezione

L’attrition bias fa parte di quegli errori che sono definiti “bias di selezione“, quindi quegli sbagli che effettua il ricercatore quando sceglie i soggetti da arruolare in uno studio.

Uno di questi è la distorsione nel campionamento, ovvero quando alcuni individui o gruppi di una popolazione hanno maggiori probabilità di essere inclusi in un campione rispetto ad altri, dando vita a un campione distorto o non rappresentativo.

C’è poi la distorsione da selezione, ovvero quel fenomeno che avviene quando la caratteristica di un campione di dati osservati è da attribuire alle limitazioni delle tecniche di osservazione impiegate, anziché a caratteristiche intrinseche di ciò che si osserva.

Infine – ma questi sono solo alcuni esempi – il bias di auto-selezione che è possibile ogni volta che il gruppo di persone ha un qualche potere decisionale sul fatto di partecipare. La loro scelta, infatti, potrebbe essere correlata a tratti che influenzano la ricerca stessa, rendendo i partecipanti un campione non rappresentativo.

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Fonti

  • R.B. Miller, C.S. Hollist, Attrition bias, in: N. Slalkind (Ed.), Encyclopedia of Measurement and Statistics, Sage Publications, Inc, Thousand Oaks, CA, 2007, pp. 57–60.
  • Mason, M. (1999). A review of procedural and Statistical methods for handling attrition and missing data in clinical research. Measurement and Evaluation in Counseling and Development, 32, 111–118.
  • Damen N, et al. Cardiac patients who completed a longitudinal psychosocial study had a different clinical and psychosocial baseline profile than patients who dropped out prematurely. Eur J Prev Cardiol. 2015; 22(2): 196-9.
  • Bell M et al. Differential dropout and bias in randomised controlled trials: when it matters and when it may not. BMJ 2013; 346: e8668.
Serena Proietti Colonna

Approccio:
Titolo di studio
Descrizione
Dottoressa di Ricerca in Psicologia e Scienze Cognitive, fin da piccola, ho coltivato la passione per il contatto umano e l'indagine delle persone. Ho scelto di studiare psicologia per migliorare la qualità della vita degli individui. Amo viaggiare, ispirata dalla mia sorella assistente di volo.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

reviewer

Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.