La teoria della mente: che cos’è e a cosa serve

La teoria della mente consente di interpretare e prevedere il comportamento degli altri, nonché di comprendere il concetto di falsità, cioè la consapevolezza che le credenze degli altri possono essere diverse dalla realtà.

Le situazioni sociali in cui tutti i giorni ci troviamo immersi richiedono, anche se a volte non ce ne accorgiamo, competenze specifiche per essere affrontate adeguatamente. Tutti gli esseri umani, infatti, interagiscono in modo diverso e più o meno competente, grazie anche al livello di expertise raggiunto in un’abilità che prende il nome di teoria della mente.

Di seguito parleremo in modo dettagliato di questo concetto, che spesso viene confuso erroneamente con altri, e vedremo come si sviluppa e come ci aiuta nella vita quotidiana.

Che cos’è la teoria della mente

La teoria della (o ToM) mente è stata definita in tanti modi, ma noi prendiamo come riferimento la definizione coniata da Wimmer e Perner, i ricercatori che negli anni ‘80 hanno dato inizio a una grande mole di studi che proseguono ancora oggi. Secondo loro, la teoria della mente è un insieme di capacità che ci permettono di attribuire agli altri degli stati mentali (ovvero emozioni, pensieri, sentimenti, credenze) e, in parte, di prevedere il loro comportamento sulla base di queste intuizioni. Viene chiamata anche mentalizzazione o mind-reading.

In particolare, possiamo distinguere una teoria della mente fredda e una teoria della mente calda. Nel primo caso, ci riferiamo alla capacità di ragionare su credenze e pensieri, mentre nel secondo a quella di dedurre le emozioni che una persona sta provando in una determinata situazione. Ma, che si tratti dell’una o dell’altra componente, la teoria della mente è sempre un’abilità cognitiva, ovvero che richiede un ragionamento basato sui fatti e sulle inferenze che si possono fare.

Va da sé che questo concetto sia spesso confuso con altri. Ad esempio, con l’empatia: in questo caso la differenza sta nel fatto che la teoria della mente richiede un ragionamento esplicito, mentre l’empatia è preriflessiva, e oltre tutto prevede la condivisione dello stato emotivo di un’altra persona. Nella teoria della mente non c’è nulla del genere, ma solo una comprensione: immaginare cosa una persona sta provando non implica provare a nostra volta questa emozione.

Altro concetto distinto da quello di ToM è il perspective taking, ovvero la capacità di mettersi nei panni di qualcun altro. Questa abilità permette di intuire cosa qualcuno sta pensando o provando, ma non implica il passo successivo, ovvero quello di intuire i comportamenti che ne potrebbero derivare. Inoltre, il perspective taking viene attuato in modo istantaneo, mentre la teoria della mente è un processo cognitivo.

Come si sviluppa la teoria della mente?

La ToM è una competenza sociale, quindi non è data alla nascita, ma si acquisisce gradualmente nel corso dello sviluppo. Non si conquista come un tutto-nulla, ma continua a svilupparsi man mano che il bambino cresce e diventa adolescente. Non solo: la teoria della mente serve per essere più adeguati nelle relazioni sociali, ma sono esse stesse ad allenarla e migliorarla.

Il bambino piccolo, durante i primi due anni di vita, acquisisce i precursori della teoria della mente, ovvero la capacità di imitare gli altri, quella di condividere con un altro l’attenzione su un oggetto e quella del gioco di finzione. Dopodiché, verso i 4-5 anni si può parlare di teoria della mente vera e propria perché il bambino conquista il concetto di falsa credenza. In pratica, diventa consapevole del fatto che gli altri hanno delle credenze che possono essere diverse dalle proprie e che possono anche non coincidere con la realtà, risultando quindi false nonostante la persona sia convinta della loro bontà.

Man mano che il bambino cresce, viene esposto a situazioni sociali sempre più variegate, compiendo progressi nella sua capacità di applicare la teoria della mente. Alle scuole elementari, ad esempio, si impara il meccanismo del bluff e a riconoscere alcune gaffe sociali, ovvero le situazioni in cui una persona si comporta in maniera inadeguata senza rendersene conto. Man mano, le conoscenze e le capacità di applicarle si sommano fino all’adolescenza, ma anche in età adulta è possibile perfezionare la propria capacità di mentalizzare.

Come si misura la teoria della mente?

Abbiamo detto che la teoria della mente non è un tutto o nulla, ma che si acquisisce in modo graduale in vari passaggi evolutivi. Perciò a età diverse corrisponderanno capacità diverse e ogni bambino raggiunge un differente livello. Ecco perché esistono diversi strumenti per misurare la ToM, ciascuno dei quali ha dei range di età entro i quali deve essere somministrato e tiene conto proprio dello sviluppo biologico del soggetto.

Il test più importante è quello della falsa credenza, modificato in innumerevoli versioni atte a rilevare lo stesso fenomeno. Quella originale è quella dello spostamento inatteso, detto anche test di Sally e Anne. Questi sono i nomi delle due bambine protagoniste di un’ipotetica scena in cui, dopo aver riposto la palla una volta finito di giocare, Sally la sposta mentre Anne non la può vedere. Il bambino dovrà essere in grado di riconoscere che Anne avrà una falsa credenza e agirà di conseguenza, ovvero cercherà la palla non nel posto giusto, quello in cui effettivamente si trova, ma dove lei crede che la palla sia, anche se in realtà non è più lì. In pratica, lo scopo è capire se il bambino sa che una persona può avere una falsa credenza e comportarsi in base a essa.

Alle elementari, invece, si utilizzano le strange stories. Ai bambini vengono proposte delle situazioni sociali in cui si utilizzano bugie, bluff, inganni, uso metaforico del linguaggio, accompagnate da alcune domande di comprensione relative a pensieri, credenze ed emozioni dei protagonisti. Un livello ulteriormente superiore è richiesto, invece, dai faux pas, in cui il ragazzo deve identificare quali situazioni, tra quelle descritte, comprendono una gaffe sociale, ovvero un comportamento inadeguato per una mancata comprensione.

Questi sono i modi in cui la ToM viene misurata a livello teorico, anche se l’applicazione nella realtà può variare molto e si misura direttamente sul campo, durante le interazioni.

A che cosa serve la teoria della mente?

Come abbiamo detto, la ToM è legata a doppio filo con le interazioni sociali: se è vero che con lo sviluppo essa viene accresciuta in base alle situazioni alle quali il bambino o il ragazzo viene esposto, che fungono da palestra, è anche vero che le capacità apprese aiutano ad essere adeguati verso gli altri. Questo perché dalle intuizioni su cosa sta pensando, provando o crede un altro, si sviluppano delle aspettative su quali potrebbero essere i futuri comportamenti di questa persona. Sulla base di essere il bambino decide come agire.

Molti studi si sono occupati di capire in che modo una buona capacità di teoria della mente incide nel rapporto con gli altri e si è scoperto che essa, in quanto capacità di comprendere emozioni e pensieri altrui, facilita nel bambino certi comportamenti detti prosociali. Si tratta di comportamenti messi in atto allo scopo di aiutare un compagno in difficoltà, ad esempio prestandogli qualcosa che gli manca o cercando di consolarlo se è triste, correndo a chiamare la maestra se cade e si sbuccia un ginocchio. In pratica, i bambini più competenti nella ToM, più capaci di leggere le situazioni sociali, sono anche quelli che aiutano più facilmente gli altri.

Ma non è detto che la teoria della mente venga sempre utilizzata per scopi nobili: certe volte viene impiegata per manipolare il comportamento degli altri. Proprio le conoscenze su come funzionano i processi mentali, infatti, rendono più facile ottenere dagli altri ciò che si vuole, e per questo i risultati degli studi che mettono in relazione ToM e comportamenti antisociali non sono del tutto chiari. Ad esempio, un bullo sa benissimo dove colpire per far soffrire la sua vittima: non possiamo dire che abbia una teoria della mente debole, ma piuttosto che non provi empatia verso le persone che ferisce, anzi talvolta ne trae godimento.

Insomma, la differenza, in certi casi, non è data tanto da un deficit di teoria della mente (come si pensa accada nei casi di autismo o schizofrenia), ma nella motivazione che guida il suo utilizzo, nelle intenzioni. Se queste sono buone, il comportamento sarà prosociale, mentre i bambini che attuano comportamenti scorretti per danneggiare gli altri, usano le loro competenze per scopi antisociali in maniera consapevole e programmata.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.