Il termine “bullismo”, calco dell’inglese “bullying”, in italiano ha assunto il significato di “prepotenze”. Secondo Olweus (1993), una persona subisce prepotenze quando viene esposta ripetutamente e per lungo tempo ad azioni negative. Per parlare di bullismo è necessario che l’azione aggressiva sia intenzionale, ingiustificata, mirata a far del male, frequente e continuata nel tempo. Deve anche esserci una disparità, un dislivello a livello di potere e di forza tra il bullo e la vittima.
Le azioni aggressive possono essere di tipo diretto (fisico o verbale) o indiretto (bullismo psicologico e relazionale). Il picco degli episodi di bullismo si registra a partire dagli 11 anni, con il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, specie in quei luoghi e in quei momenti in cui la supervisione adulta o la presenza dell’autorità risulta minima.
Quando avviene a scuola, il bullismo può essere un fenomeno di gruppo, che coinvolge l’intera classe: per indagare le dinamiche sociali che emergono, è importante prendere in esame i diversi ruoli che vengono assunti, in base alle caratteristiche di ogni individuo e del contesto sociale.
Troviamo:
1) il bullo, caratterizzato da dominanza fisica, distruttività e impulsività. In genere manca di empatia e di altre emozioni morali, come il senso di colpa e la vergogna;
2) la vittima passiva, caratterizzata da debolezza e fragilità: tende a rispondere all’aggressione con il pianto o l’auto-isolamento. Rischia ricadute sociali ed emotive, ma normalmente non presenta problemi nel rendimento scolastico;
3) la vittima provocatrice, che presenta comportamenti esternalizzati, quali iperattività e impulsività. Risponde alle aggressioni del bullo con aggressività, ma in questo modo, invece di allontanare le molestie, peggiora la situazione;
4) il seguace del bullo, cioè la persona che ride alle sue bravate, che lo sostiene, che scova la vittima o la tiene ferma. Può assumere un ruolo passivo (sostegno) o attivo (aiutante);
5) il difensore della vittima, che si schiera dalla sua parte, sia in maniera attiva sia standole vicino. Possiede un elevato grado di competenza sociale;
6) esterno, che coincide con la maggioranza silenziosa, che finge di non sapere.
Esiste un questionario, chiamato QRP (o, in inglese, Participant Role Scale), che consente di individuare i diversi ruoli. Il principale vantaggio di questo strumento è che fornisce l’opportunità di individuare non solo il bullo e la vittima, ma gli altri attori sociali coinvolti.
Spesso i bulli presentano un comportamento aggressivo, impulsività e inosservanza delle regole. Sono stati riscontrati 4 principali fonti di rischio:
1) il temperamento individuale (irritabilità, iperattività…);
2) fattori socioculturali (le caratteristiche della famiglia, la povertà, l’isolamento…);
3) lo stile educativo genitoriale (e il coinvolgimento dei genitori nell’educazione)
4) i conflitti genitoriali (problemi a casa, disciplina severa, esperienze di abuso e aggressività).
I meccanismi del “cyberbullismo”, di cui spesso si sente parlare, sono simili a quelli del macro-fenomeno: la differenza sta nel fatto che la prevaricazione si avvale di mezzi tecnologici di alta diffusione, che ne magnificano l’effetto e diminuiscono l’attivazione empatica e il rispecchiamento emotivo nel prevaricatore.
È importante affrontare il bullismo in ottica preventiva, portando attenzione anche a piccoli segnali d’allarme, come l’aumento dell’irritabilità, dell’aggressività e dell’intolleranza. Ogni adolescente scopre e costruisce la sua identità nel rapporto con gli altri, quindi subire un episodio di bullismo può avere risvolti devastanti sulla salute mentale. È importante promuovere in maniera attiva condotte prosociali, far riscoprire il valore dell’empatia e dell’inclusione, intesa come non qualcosa che alcune persone fanno per il bene di un gruppo ristretto, ma che ogni persona può fare per sé stessa e per gli altri.
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