Il potere dell’ambivalenza

L’ambivalenza può essere una parte naturale dell’esperienza umana e si manifesta quando si hanno sensazioni opposte su qualcosa o qualcuno allo stesso tempo.

L’ambivalenza in psicologia è definita come un’esperienza in cui si provano contemporaneamente due opposti orientamenti emotivi o cognitivi verso una persona, una situazione, un compito o obiettivo. Nella vita quotidiana l’ambivalenza rappresenta la norma piuttosto che l’eccezione. Ci troviamo spesso a vivere simultaneamente bisogni che apparentemente entrano in contraddizione tra loro e questo può portare a sentimenti di imbarazzo, indecisione o insicurezza. Quando ad entrare in conflitto tra loro sono pensieri si parla anche di dissonanza cognitiva. Questo termine è stato elaborato per la prima volta da Leon Festinger ed indica la condizione di forte contrasto che a volte si genera quando opposti valori e opinioni sono entrambi validi per rispondere ad una determinata esperienza. La coesistenza nella mente di due idee contrapposte può generare un forte disagio psicologico e la messa in atto di comportamenti non sempre coerenti fra loro. Anche nel campo della psicologia dello sviluppo e affettiva si può parlare di ambivalenza. In questo caso si tratta di un atteggiamento emotivo in cui entrano in conflitto sentimenti opposti. Ad esempio amore e odio, vicinanza e distanza, apertura e chiusura. Secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby quando una madre manifesta ambivalenza nei confronti del figlio durante la prima infanzia si sviluppa un tipo di legame insicuro chiamato appunto insicuro-ambivalente. Il bambino a sua volta svilupperà un’idea dei rapporti umani contraddittoria e vivrà le relazioni future come potenzialmente pericolose perchè imprevedibili.

Gli aspetti positivi dell’ambivalenza


Ma l’ambivalenza è solo qualcosa di negativo? Le persone spesso esitano a condividere le loro emozioni ambivalenti con gli altri, temendo che possano contaminare negativamente l’umore del gruppo oppure perchè non vogliono apparire emotivamente vulnerabili. Infatti è innegabile il fatto che nella nostra società spesso sono maggiormente apprezzate le persone decise, risolute e assertive. La pressione sociale rivolta a promuovere una cultura della felicità a tutti costi può spingere l’individuo a cercare di allontanare tutte le emozioni negative con un conseguente senso di solitudine che mina il benessere psicofisico. In psicologia però si sta cominciando a rivalutare il potere dell’ambivalenza. Ci sono infatti molti contesti in cui condividere l’ambivalenza cognitiva ed emotiva può essere molto utile per trasmettere onestà e fiducia. Confrontarsi con gli altri sui propri pensieri o emozioni contrastanti può essere un buon modo per sviluppare un clima di grande libertà. Ad esempio condividere l’ambivalenza emotiva nelle relazioni cooperative può servire a trovare una soluzione efficace ai problemi di tutto il gruppo. Sono molti gli studi psicologici che dimostrano il fatto che l’ambivalenza può anche avere conseguenze positive, cioè portare a risposte che alla fine si rivelano funzionali per un migliore adattamento alla realtà. Queste ricerche esplorano il concetto di ambivalenza secondo due dimensioni chiave:

  • una dimensione relativa alla flessibilità: l’ambivalenza emotiva può rendere le persone più creative, aperte a ricevere consigli e adattabili ai diversi contesti;
  • una dimensione relativa al coinvolgimento: le persone che vivono ambivalenze emotive hanno livelli più elevati di coinvolgimento positivo, intuizione e concentrazione sul presente.


Grazie al loro comportamento autentico e consapevole gli individui che fanno pace con la loro ambivalenza tendono ad aumentare il livello di impegno di fronte alle difficoltà della vita.

Quali sono i benefici dell’ambivalenza?


Le ricerche hanno dimostrato che l’ambivalenza non sempre è un aspetto negativo da eliminare e risolvere. Imparare a convivere con le nostre contraddizioni interne infatti può avere numerosi benefici sia a livello individuale che sociale.

Coltivare l’esperienza dell’ambivalenza emotiva


Di fronte all’incertezza sul futuro le persone che sanno utilizzare al meglio le loro contraddizioni interne riescono meglio di altre a comprendere la complessità della realtà. Piuttosto che dividere il mondo in bianco o nero queste persone riescono a cogliere tutte le diverse sfumature di grigio. Questa capacità di accettare l’idea della coesistenza tra gli opposti aiuta a pensare alle cose in modo più flessibile e consente di trovare modi alternativi per affrontare i problemi. Per dirla con lo psicoanalista Carl Gustav Jung si tratta della capacità di tenere insieme gli opposti, Persona e Ombra, Puer e Senex, Animus e Anima cioè arrivare a comprendere che dentro ognuno di noi esistono sempre due facce di una stessa medaglia. Secondo la teoria junghiana il processo di individuazione che porta allo sviluppo del Sè si basa proprio sull’accettazione di queste diverse componenti. Quando si ha un approccio positivo nei confronti delle apparenti ambivalenze interne queste non entrano in conflitto tra loro ma si completano. Per sviluppare l’esperienza positiva dell’ambivalenza si può quindi provare ad esplorare quali sono le due diverse opzioni che entrano in gioco in ogni pensiero o emozione. Ad esempio riflettere su ciò che ci entusiasma e contemporaneamente ci rende nervosi riguardo ad una situazione, persona o compito da svolgere.

Insegnare ai bambini che è possibile provare emozioni contrastanti


Quando l’ambivalenza non è vissuta in modo negativo ma accettata e compresa è possibile trasformarla in qualcosa di positivo. Può quindi essere importante insegnare ai bambini che è del tutto normale provare contemporaneamente due emozioni o sentimenti apparentemente contrastanti. Il primo passo da fare per trarre beneficio dall’ambivalenza è quello di apprendere il ruolo svolto dalle emozioni nella vita e soprattutto saperle distinguere una dall’altra. Se i genitori dimostrano ai figli di saper individuare le contraddizioni presenti in un’idea, sentimento o pensiero fungeranno da modello per far interiorizzare il fatto che non ci si debba vergognare dell’ambivalenza. Ascoltare in modo empatico, non giudicante e rispettoso i bambini quando vivono emozioni contrastanti è altrettanto importante per aumentare la loro consapevolezza e per essere più tolleranti nei loro confronti. Si può intervenire anche semplicemente attraverso espressioni facciali, il linguaggio del corpo o il tono della voce che possono rafforzare il valore delle risposte ambivalenti per evitare che queste siano vissute in modo negativo. Si tratta in altre parole di modellare l’ambivalenza emotiva in modo autentico. Ad esempio si può sostenere emotivamente un bambino quando prova contemporaneamente tristezza e felicità oppure delusione e speranza.

Utilizzare l’ambivalenza emotiva nelle relazioni interpersonali


I passaggi delineati finora possono aiutare a rimuovere le barriere psicologiche e culturali che esistono a proposito dell’ambivalenza. Diventa però necessario fare un ulteriore passo in avanti e contribuire a sviluppare ambienti capaci di utilizzarla al meglio. Un esempio sono le relazioni che si instaurano nell’ambiente lavorativo. Ad esempio un datore di lavoro potrebbe incoraggiare i suoi dipendenti a condividere la loro ambivalenza emotiva o strutturare il lavoro in modo da motivarli a prestare maggiore attenzione ai segnali sociali ed emotivi degli altri piuttosto che concentrarsi prevalentemente su se stessi. Nelle aziende dove l’ambivalenza viene accettata, condivisa e resa oggetto di confronto gli individui sono più propensi a lavorare insieme verso un obiettivo comune e condiviso. Secondo alcune ricerche sulla psicologia delle organizzazioni quando l’ambivalenza è condivisa nel contesto di rapporti di lavoro egualitari il processo di soluzione dei problemi avviene sempre facendo in modo che tutti stiano meglio. Si tratta di un modello di cooperazione che può essere replicato nei contesti scolastici con i bambini e gli adolescenti notoriamente soggetti a forti ambivalenze durante questo difficile periodo della crescita. Anche nel campo della psicoterapia i terapeuti che utilizzano l’approccio del colloquio motivazionale utilizzano tecniche simili incoraggiando lo sviluppo di relazioni autentiche con i pazienti e utilizzando la loro ambivalenza emotiva per motivare il cambiamento e la crescita.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.