Come si cambia dopo un lutto?

Dopo un lutto, ci si trova spesso a fronteggiare una serie di trasformazioni profonde nella propria vita e nel proprio essere, poiché il dolore della perdita può influenzare ogni aspetto dell’esistenza, dall’emozione al comportamento e alla prospettiva sulla vita stessa.

Perdere una persona cara è sempre un’esperienza drammatica che lascia un segno indelebile nella psiche umana. L’intero mondo psichico viene coinvolto nell’affrontare il lutto che ne deriva. Negazione, rabbia e depressione sono solo alcune delle emozioni che emergono quando si deve accettare e superare la forzata condizione della separazione.

Inevitabilmente dopo un lutto si cambia, si va incontro ad una trasformazione della propria vita e per qualcuno può avvenire un radicale cambio di rotta nell’esistenza.

Il modo in cui ciascuno di noi gestisce l’esperienza di un lutto è del tutto personale e può dipendere da numerosi fattori come ad esempio il grado di fragilità individuale, il tipo di legame con colui o colei che ha perso la vita, la fase dell’esistenza in cui ci si trova o la generica capacità di superare gli ostacoli. Anche il tempo che occorre a ritrovare un nuovo equilibrio personale è variabile da persona a persona e può seguire fasi non sempre lineari. Per questo non è possibile prevedere nel dettaglio quali saranno i cambiamenti che avverranno a seguito di un lutto. Secondo la psicologia è però possibile individuare alcuni indicatori di base che servono a comprendere quali sono le aree della vita in cui tendenzialmente si cambia dopo aver vissuto un lutto.

La crisi del senso della vita


La morte di una persona amata lascia un’enorme desolazione, un vuoto che determina una crisi profonda nel senso della vita dalla quale si esce solo aprendo un nuovo orizzonte. Nella società contemporanea esiste una profonda disconnessione tra la vita e la morte e la nostra società non sempre ci aiuta a risolvere le questioni più profonde e complesse relative al significato dell’esistenza. Trascorriamo buona parte della vita negando la nostra stessa limitatezza.

La cultura in cui siamo immersi esalta la giovinezza, la salute, il divertimento, la leggerezza e tende contemporaneamente a mettere da parte ogni pensiero rivolto alla vecchiaia, alla separazione, alla morte. La perdita di una persona cara accende dunque un riflettore fatto di emozioni, sentimenti e pensieri che riguardano il senso stesso della vita e il suo scopo ultimo. Ecco allora che passato, presente e futuro assumono una dimensione nuova, diversa.

Dopo un lutto si cambia il modo di affrontare la propria stessa esistenza mettendo in discussione le certezze già acquisite ed aprendosi a scenari nuovi che rideterminano le priorità.

La teoria biologica del lutto


I principali esponenti della teoria biologica del lutto sono gli psicologi J.Bowlby e C.M.Parkes che nel ‘900 hanno messo in evidenza il fatto che la morte in primo luogo è un evento che separa un legame di attaccamento psicologico. Questo modello spiega il motivo per cui la persona in lutto tende a ricercare la persona scomparsa, può avere sensi di colpa e fa fatica ad instaurare nuovi legami.

La perdita attiverebbe comportamenti istintivi di origine biologica ed evoluzionistica al punto da sentirsi minacciati nella propria sopravvivenza. Come potrò vivere senza di te? Questa è una delle domande più drammatiche che la persona in lutto può farsi. Solo sviluppando una capacità di adattamento alla nuova situazione di vita si può assumere un atteggiamento costruttivo. Bowlby sostiene che dopo un lutto si cambia soprattutto il modo di entrare in relazione con gli altri. A partire dal dolore si ricostruisce un nuovo modello con cui sviluppare legami di attaccamento.

La teoria psicoanalitica del lutto


A spiegarci come si cambia dopo un lutto è anche Sigmund Freud con la sua teoria psicoanalitica. Secondo questo modello i comportamenti di ricerca della persona perduta, come ad esempio tornare nei luoghi in cui si è vissuta un’esperienza insieme, servono a difenderci dalla sofferenza. In quest’ottica mantenere vivo il ricordo della persona amata avrebbe un significato di protezione dal pensiero e dalla consapevolezza del non ritorno. Anche la rabbia, la colpa e la depressione avrebbero una funzione difensiva perchè permettono di tirare fuori le emozioni più profonde e ci aiutano a liberarcene.

Infine la psicoanalisi vede nell’introiezione della figura della persona amata un meccanismo che consente di far rivivere dentro di sé l’oggetto d’amore perduto. In questo modo è possibile identificarsi in parte con le caratteristiche psicologiche di colui o colei che adesso non c’è più. Il proprio Sé dunque si arricchisce di un elemento idealizzato, positivo che aumenta l’equilibrio interiore. In altre parole, per la teoria psicoanalitica del lutto. la perdita subisce una riparazione quando la persona scomparsa diventa parte di noi stessi. L’oggetto d’amore interiorizzato non è dunque solamente un ricordo ma una vera e propria presenza.

La teoria esistenziale del lutto


Nell’ottica esistenziale la fase di negazione di un lutto serve ad allontanare l’idea generale che si può avere della morte. Secondo questa teoria psicologica ad andare in crisi con la morte di una persona cara è l’intero senso della vita. Questa teoria cerca di spiegare come si cambia dopo un lutto riferendosi all’esperienza della perdita come ad un percorso teso a recuperare questo significato perduto. Non si tratta dunque di ricordare o dimenticare, guardare al passato o mantenersi ancorati nel presente, ma di operare una dolorosa e profonda ricostruzione dell’intera esistenza personale.

La morte dell’altro ci ricorda la nostra mortalità e per questo sarà possibile affrontare la morte dell’altro solo se accettiamo l’idea della nostra stessa finitudine. Lo psicologo Erik Erikson ad esempio sottolinea quanto sia importante l’ultima fase nella costruzione dell’identità individuale che egli definisce integrità dell’Io. Durante gli ultimi anni della vita ciascuno di noi è chiamato a trovare il filo conduttore che ha accompagnato la nostra esistenza. Il modo in cui risolviamo questo passaggio sarà fondamentale per riuscire ad affrontare la fine con serenità e senza rimpianti.

La teoria della crescita post-traumatica


Quando avviene la perdita di una persona cara si verifica inevitabilmente un trauma dovuto dallo strappo, dalla separazione e dall’impossibilità di tornare indietro. La separazione e la perdita costituiscono fattori di grande impatto emotivo che possono essere considerati alla stregua di un trauma. Per qualcuno è possibile che insorgano delle difficoltà significative sul piano psicologico tali da rendere difficile affrontare gli impegni della vita quotidiana come ad esempio incubi, difficoltà ad addormentarsi, deficit nella concentrazione, impulsività. In presenza di sintomi di questo tipo si può arrivare ad una diagnosi di disturbo da stress post-traumatico (DPTS). Anche se affrontare un evento traumatico è sempre stressante, in alcuni casi ci sono persone che riescono a trasformare questa condizione in una grande opportunità di crescita personale.

La crescita post-traumatica indica uno dei tanti modi in cui si cambia dopo un lutto. Diversamente dal disturbo da stress post-traumatico in questo caso il soggetto non sviluppa sintomi negativi ma improvvisamente comincia a vedere la vita con occhi diversi. E’ possibile infatti che qualcuno colga l’occasione della consapevolezza della brevità della vita per iniziare a fare nuove esperienze, migliorare il proprio rapporto con gli altri o aumentare gli spazi che creano benessere personale.

Questi nuovi atteggiamenti indicano che il trauma del lutto ha generato una crescita interiore positiva che potrebbe mantenersi stabile a lungo. La perdita di una persona cara può trasformarsi in un motivo di ripensamento della vita stessa e portare all’apprezzamento di ciò che prima era considerato secondario o privo di importanza. Qualcuno dopo il trauma di un lutto potrebbe migliorare la percezione di sè e avere un atteggiamento più positivo nei confronti degli altri. Non di rado dunque può accadere che dopo un lutto la persona ritrovi serenità, sviluppi resilienza ed impari ad apprezzare ogni singolo aspetto della vita.

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Revisori

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Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.