La transizione di genere: il percorso di riappropriazione dell’identità personale

La transizione di genere è il percorso che si effettua quando ci si trova in una condizione di disforia di genere, ovvero non ci si sente a proprio agio con il genere assegnato alla nascita. È un argomento molto complesso, e di seguito ne affronteremo alcuni punti:

  • la definizione di disforia di genere come sofferenza derivante da una mancata identificazione con il proprio corpo e il ruolo sociale atteso, non come una condizione patologica in sé;
  • la varietà di significati del percorso di transizione di genere, che può essere ormonale, chirurgica o sociale;
  • l’importanza di intervenire nel modo appropriato senza sottovalutare l’entità del malessere causato dalla disforia di genere.

Se questo argomento ti interessa, continua a leggere: ognuno di questi temi verrà affrontato in modo approfondito.

Che cos’è la transizione di genere

La transizione di genere è un processo che attraversano alcune persone che soffrono di disforia di genere. Con questa espressione, il DSM-5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) riconosce una sofferenza che si deve a una incongruenza tra il genere assegnato alla nascita (il sesso biologico) e l’identificazione con esso. In pratica, chi ne soffre non si sente a proprio agio con il proprio corpo e con il ruolo sociale che culturalmente si associa a ciò che si è dal momento della nascita.

Si tratta di qualcosa di completamente disgiunto dall’orientamento sessuale, che invece implica l’essere attratti, a livello affettivo e fisico, dal genere opposto, uguale o entrambi rispetto a quello al quale si appartiene.

La transizione di genere, dunque, consiste nel processo attraverso il quale l’individuo si riappropria del genere che avverte come suo, attraverso una variabile serie di interventi, che possono essere diversi per ciascuno a seconda di cosa può migliorare la condizione di benessere. Il percorso può implicare, ma non obbligatoriamente, un intervento endocrinologico, chirurgico, o anche esclusivamente sociale, che consiste nel fare in modo che la comunità e i contesti in cui normalmente vive riconoscano il genere che realmente sentono come proprio.

In che cosa consiste la transizione di genere?

La transizione di genere, quindi, riguarda le persone che non sono cisgender, ovvero che non si sentono in sintonia con il loro sesso biologico. Questi individui, che si riconoscono all’interno della comunità transgender, si sentono intrappolate all’interno di un corpo che non corrisponde al modo in cui si sentono. Ciò comporta un costante confronto con una condizione di quotidiana sofferenza.

All’interno di questa categoria, possiamo trovare una varietà di differenti situazioni:

  • FtM, ovvero Female to Male, che indica una persona assegnata donna alla nascita che si riconosce nel genere maschile;
  • MtF, ovvero Male to Female, che indica una persona assegnata uomo alla nascita che si riconosce nel genere femminile;
  • persone bigender, che si riconoscono come appartenenti a entrambi i generi convenzionali;
  • persone agender, che non si identificano in nessuno dei due;
  • persone genderfluid, che si identificano in maniera instabile all’interno di un genere oppure di entrambi.

In base a questo breve elenco, quindi, possiamo affermare come non sia scontato che una persona transgender s riconosca all’interno del genere opposto al suo: la questione è decisamente più variegata, senza considerare che non tutti desiderano intervenire sul corpo, oppure lo fanno solo in piccola parte, quanto basta per placare il loro malessere.

Il percorso di transizione di genere in Italia

Dal momento che il percorso di transizione di genere ha lo scopo di attribuire alla persona il genere che avverte come proprio, nell’ultimo periodo si preferisce parlare non di transizione o riassegnazione ma di affermazione di genere. Ma come si svolge l’iter, per una persona che desidera ritrovare l’armonia tra il proprio corpo e il proprio modo di sentirsi?

In Italia, per prima cosa, è necessario rivolgersi a un professionista della salute mentale, come uno psicologo o uno psichiatra, in modo da ottenere una diagnosi di disforia di genere che inquadri la sua situazione. L’inizio del processo di modificazione fisica coincide con la terapia ormonale, che ha lo scopo di cambiare i tipici caratteri sessuali secondari. Questo passaggio produce già enormi cambiamenti a livello di benessere mentale: esteticamente la persona, infatti, si trova maggiormente in armonia con le caratteristiche che si aspetta dall’identità di genere che sente realmente come sua.

Una volta che la terapia endocrina è in corso, secondo la legge italiana è possibile procedere con la rettificazione di attribuzione di sesso, nella quale viene coinvolto anche il Tribunale della specifica zona di residenza. Alle autorità deve essere presentata un’istanza (meglio se associata a una relazione peritale) in modo che queste possano autorizzare al trattamento chirurgico. Dopodiché la persona può rivolgersi alla struttura ospedaliera che preferisce per richiedere le operazioni che desidera effettuare. Nello specifico, le persone MtF richiedono comunemente penectomia, orchiectomia e vaginoplastica, mentre le persone FtM optano per isterectomia, mastectomia, metoidoplastica o falloplastica.

In secondo luogo, sempre rivolgendosi al Tribunale per ottenere l’autorizzazione, la persona può richiedere la rettifica dei dati anagrafici nei documenti ufficiali. Dal 2017 è possibile effettuare questo passaggio senza aver obbligatoriamente effettuato interventi chirurgici, procedendo, quindi, esclusivamente con una transizione di genere sociale.

Aspetti psicologici della transizione di genere

Parallelamente al percorso medico e giuridico, è importante affiancarne uno di supporto psicologico, per accompagnare la persona lungo un processo lungo e complesso, che scatena molte emozioni e può rivelarsi un’importante fonte di stress.

Come abbiamo detto, la diagnosi da parte di uno psicologo o di uno psichiatra è essenziale per poter accedere all’iter di cure mediche, ma è anche vero che, specialmente nei soggetti più giovani, una volta che la macchina della riattribuzione di genere si attiva, possono scatenarsi dubbi e incertezze che riguardano i propri desideri. A questo proposito, si preferisce, specialmente negli ultimi anni, prescrivere dei farmaci bloccanti della pubertà, che consentono di temporeggiare rispetto all’avvento di cambiamenti fisici irreversibili, mentre la persona capisce cosa realmente sente.

Anche per evitare che il paziente possa pentirsi delle decisioni prese sull’onda della sua emotività o di una dubbia identificazione di genere, la possibilità di rivolgersi al Tribunale per richiedere l’autorizzazione a procedere con l’intervento di riconversione chirurgica è attuabile solo a partire dai due anni trascorsi dall’inizio del percorso psicologico.

In ogni caso, come abbiamo detto, non sempre questo passaggio viene effettuato, dal momento che alcune persone riescono a raggiungere un equilibrio psicofisico soddisfacente grazie alla sola terapia ormonale, che in questi casi risulta la soluzione ottimale in grado di assicurare un maggiore benessere alla persona. Questo basta per provvedere alla rettifica dei dati personali sui documenti.

Conseguenze psicologiche della disforia di genere

Purtroppo sono molti i pregiudizi che ancora aleggiano intorno al mondo della disforia di genere, che a causa della scarsa informazione viene spesso sottovalutata o etichettata negativamente, a volte come un capriccio o un bisogno di attirare l’attenzione. Non c’è nulla di più lontano dalla realtà: la persona che soffre di disforia di genere, infatti, vive una condizione di profonda sofferenza, sentendo che la propria identità non viene rispecchiata da ciò che la società vede e accetta.

Questo disagio può comportare una serie di ulteriori conseguenze, che possono identificarsi in un disturbo depressivo o ansioso, nella dispersione scolastica e nella fatica a concentrarsi sulle attività accademiche. Inoltre, molto comune in questi casi è il fenomeno del minority stress, che indica una sensazione di disagio dovuta all’appartenenza a una categoria che, in senso statistico, costituisce una minoranza. La persona può arrivare a sentirsi colpevole del suo modo di essere e sviluppare una vera e propria transfobia interiorizzata, dovuta a pregiudizi e all’esposizione ad angherie da parte degli altri. Per evitare questo malessere aggiuntivo, è facile che il paziente si isoli a livello sociale, allo scopo di proteggersi da aggressioni e microaggressioni, che risultano comunque molto lesive e sminuenti.

Chiedere aiuto per la disforia di genere

Alla luce di quanto abbiamo detto, possiamo dedurre quanto sia importante, soprattutto da parte della famiglia, accogliere il disagio avvertito dalla persona, dal momento che la disforia di genere è un disturbo che si manifesta soprattutto durante i primi anni dell’adolescenza. Il supporto genitoriale e da parte della rete amicale, infatti, è essenziale per contenere la sensazione di paura, di vergogna, del sentirsi sbagliati e problematici che sono delle costanti in questi soggetti.

Soprattutto per le difficoltà che la diagnosi comporta e per il malessere collaterale che ne deriva, può essere ampiamente di aiuto rivolgersi allo psicologo per ricevere un adeguato supporto e accompagnamento durante il processo di transizione di genere.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.