È normale non avere voglia di uscire di casa?

Non avere voglia di uscire può essere un sentimento comune che può essere influenzato da diversi fattori, tra cui lo stato d’animo, lo stress, la stanchezza, l’ansia sociale o semplicemente il desiderio di rimanere nella propria comfort zone.

Capita a tutti di non avere voglia di uscire di casa dopo una giornata impegnativa o a seguito di una settimana particolarmente stressante. Ci sono momenti in cui si ha bisogno di rimanere isolati per dedicarsi ai propri hobby e concentrarsi sui propri obiettivi, attività che a volte non è possibile fare a causa della vita frenetica. In questi casi non avere voglia di uscire è una sana risposta ad un sovraccarico cognitivo ed emotivo che deve essere smaltito. Ma cosa succede quando l’isolamento diventa cronico? Si tratta della condizione di coloro che iniziano a rinchiudersi per settimane evitando ogni contatto sociale con gli altri. In questa situazione non avere voglia di uscire può essere un segnale preoccupante di una condizione non sana di salute mentale che rende difficile interagire con il mondo esterno. Per indicare questo atteggiamento psicologico gli esperti parlano di sindrome della capanna. Con questo termine si intende un insieme complesso di sintomi psicologici che derivano da una prolungata clausura. Questo è possibile che accada quando si è costretti a rimanere chiusi in casa durante una bufera di neve invernale oppure a causa di una necessità sociale come è accaduto durante la pandemia in cui si è imposto l’autoisolamento. Anche quando si conclude l’evento che ha impedito di uscire può capitare che le persone mantengano questa difficoltà a tornare a vivere in mezzo agli altri. In altri casi invece ci sono persone che sviluppano una certa resistenza a uscire di casa per motivi strettamente psicologici.

Non avere voglia di uscire è un disturbo mentale?


Non avere voglia di uscire può diventare per qualcuno un vero e proprio problema. Anche se la sindrome della capanna non si configura come una diagnosi di disturbo mentale, l’insieme di sintomi che una persona può sperimentare quando è confinata in casa per giorni o settimane può incidere sul suo benessere mentale. Questa forma di frustrazione è abbastanza comprensibile poiché la reclusione non consente di soddisfare quelli che molti psicologi considerano i nostri bisogni psicologici di base come l’autonomia, la competenza e la relazione interpersonale. Quando si è tagliati fuori dal mondo si innesca una catena di emozioni negative che possono includere impazienza, irritabilità, mancanza di motivazione e solitudine.

Quali sono i sintomi della sindrome della capanna?


Sebbene alcuni sintomi siano comuni a tutti coloro che sviluppano la sindrome della capanna, non tutti provano le stesse sensazioni. Si tratta infatti di una sindrome che può comprendere molti e svariati comportamenti, atteggiamenti, emozioni e sentimenti. Non avere voglia di uscire è uno dei tanti segnali che indicano la presenza di una condizione di malessere più ampia. La sindrome della capanna comprende sintomi che dipendono da aspetti di personalità, sono fortemente correlati alla biochimica dei neurotrasmettitori, fanno riferimento alle esperienze della storia personale e della vita sociale di ogni individuo. Tra i segnali di malessere psicologico presenti nella sindrome della capanna ci sono:

  • diminuzione della motivazione;
  • perdita della pazienza;
  • disturbi del sonno come insonnia, incubi, risvegli notturni o difficoltà ad addormentarsi;
  • bisogno frequente di fare sonnellini durante la giornata;
  • noia;
  • mancanza di concentrazione.


Se non affrontati in tempo questi sintomi possono portare allo sviluppo di problemi ben più gravi come forme di ansia o di depressione, abuso di sostanze stupefacenti o alcol, alterazione del ritmo sonno-veglia e drastici cambiamenti nelle abitudini alimentari.

Fattori che possono contribuire allo sviluppo della sindrome della capanna


Tutti gli esseri umani fanno parte di una specie animale che è riuscita a sopravvivere nel corso dell’evoluzione grazie alle interazioni sociali. Si tratta di un bisogno primario che deve essere soddisfatto per mantenere in vita la persona in quanto tale. Pensiamo al bisogno dei neonati di rimanere emotivamente connessi con le loro figure di attaccamento. Diversi esperimenti dimostrano che il bambino piccolo anche quando non è ancora in grado di comunicare con le parole è comunque in grado di attrarre l’attenzione dei genitori attraverso una serie di importanti segnali di richiamo. Uno studio diventato famoso sul bisogno di connessione emotiva nell’infanzia è quello della still face. E’ stato provato che i neonati che non vedono risposte emotive sul volto dei loro genitori reagiscono con la disperazione e il pianto. In effetti tutti gli studi psicologici dimostrano che anche da adulte le persone che sono maggiormente capaci di entrare in relazione con il mondo che le circonda e hanno una vita sociale attiva sviluppano un più alto benessere psico-fisico. Tra i fattori che contribuiscono allo sviluppo della sindrome della capanna si possono elencare:

  • l’incapacità di contatto fisico con le persone;
  • non essere in grado di impegnarsi in attività divertenti;
  • sentirsi demotivati;
  • una precedente diagnosi di un disturbo mentale.


Proprio per la caratteristica di essere una sindrome varia e complessa bisognerebbe rivolgersi ad un professionista della salute mentale per conoscere le specificità della situazione personale e rintracciare i fattori che hanno fatto nascere la voglia di non uscire di casa.

Quali possono essere i motivi per non avere voglia di uscire di casa?

  • stress ed esperienze negative: lo stress riduce il desiderio e la motivazione ad interagire con il mondo esterno. Uno studio condotto sui topi per comprendere il loro comportamento sociale ha dimostrato che dopo l’esposizione a un singolo evento negativo i ratti hanno ridotto la motivazione all’esplorazione per più di 5 giorni. Anche gli eventi traumatici fanno diminuire la voglia di uscire di casa;
  • relazioni negative: quando si vivono relazioni interpersonali conflittuali, instabili o negative si può reagire con l’isolamento sociale. Ricevere forti critiche o essere vittime di bullismo possono essere motivi alla base della sindrome della capanna;
  • paura del giudizio: un forte motivo per non avere voglia di uscire di casa potrebbe riguardare la paura del giudizio da parte degli altri. Talvolta le persone insicure temono di vivere condizioni sociali in cui possono sentirsi in imbarazzo o provare vergogna per non essere all’altezza di una situazione. Temono dunque che tutti possano criticarli o giudicarli.


Nel caso in cui il desiderio di rimanere a casa sia anche accompagnato da stati dell’umore bassi, stanchezza immotivata, pensieri suicidi, sentimenti di disperazione e di inutilità per un periodo superiore alle due settimane è anche possibile che si tratti di depressione. In questo caso è fondamentale rivolgersi ad uno specialista.

Hikkikomori e non avere voglia di uscire: sono la stessa cosa?


Notoriamente gli hikkikomori sono persone che non hanno voglia di uscire di casa e vivono in una sorta di ritiro sociale volontario. Il termine hikikomori si riferisce a una condizione sociale in cui gli individui evitano il contatto e i rapporti con persone diverse dai membri della famiglia rimanendo chiusi in una stanza o in casa per più di 6 mesi. Questa sindrome colpisce soprattutto gli adolescenti che hanno difficoltà ad inserirsi in un gruppo. Si tratta di una particolare difficoltà che può svilupparsi a causa di mancanza di capacità comunicative o per via di una particolare configurazione della personalità. Spesso colpisce soggetti che vivono con ansia la socializzazione e temono gli incontri sociali. La difficoltà a relazionarsi con gli altri sembra legata prevalentemente alla paura di non riuscire a corrispondere alle aspettative sociali. A differenza delle fobie sociali come l’agorafobia o del disturbo d’ansia generalizzato dove la paura riguarda un’ampia gamma di situazioni, le paure che sviluppano gli hikikomori riguardano le persone e gli ambienti sociali che conoscono. Proprio per questo gli psicologi ritengono che gli interventi più utili per combattere questo problema consistono nel miglioramento delle capacità comunicative e nella gestione delle aspettative.

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Revisori

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Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.