Transfobia: gli effetti di una piaga sociale

La transfobia può avere degli effetti devastanti. Rappresenta una piaga sociale che colpisce profondamente individui e comunità. Approfondisci con noi le conseguenze psicologiche, emotive e sociali di questa forma di discriminazione e scopri come possiamo lavorare insieme per promuovere un ambiente inclusivo e rispettoso per tutte le persone, indipendentemente dall’identità di genere.

La diversità spesso non viene accolta con rispetto e apertura mentale da tutti, e questo accade in tutti i contesti e specialmente a chi appartiene a una qualche minoranza che fa riferimento all’orientamento sessuale o all’identità di genere, come le persone omosessuali o transgender. In quest’ultimo caso, il fenomeno che alimenta varie forme di aggressività e violenza, che possono avere diverse espressioni (dall’insulto fino all’aggressione fisica immotivata) viene detto transfobia. Le conseguenze di questo approccio possono essere terribili per chi lo subisce, e possono addirittura sfociare in sintomi depressivi o ansiosi, addirittura accrescendo il rischio di suicidio e compromettendo la salute psicofisica dell’individuo.

In certi casi, il continuo subire discriminazioni e soprusi può dare luogo a una condizione di stress cronica, chiamata minority stress. Se anche tu sei vittima di queste condotte o vuoi saperne di più sull’argomento, continua a leggere: ci concentreremo, in particolare, sulla transfobia.

Definiamo i concetti: la transessualità

Prima di tutto, è opportuno fare una precisazione su cosa si intenda per transessualità, dal momento che, se non si mastica l’argomento, il rischio di fare confusione è alto. La transessualità ha a che fare con l’identità di genere, ovvero con il modo di ciascuno di sentirsi uomo o donna, indipendentemente dal sesso biologico (che per correttezza chiameremo genere assegnato alla nascita).

Anche se nella nostra società la condizione normativa è essere cisgender, ovvero il genere al quale si sente di appartenere corrisponde a quello assegnato alla nascita, ci sono anche persone ‍che non si trovano in sintonia tra quest’ultimo e l’identità di genere alla quale sentono di appartenere in realtà. In pratica quindi, ci sono delle persone assegnate donne alla nascita che però si sentono uomini, e altre assegnate uomini alla nascita che si sentono donne. In questo modo l’individuo va incontro a una frattura identitaria, sentendosi intrappolata in un corpo e in un ruolo sociale che non avvertono come loro. Questa sensazione crea un forte malessere e disagio, che viene riconosciuta dal DSM-5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) con il nome di disforia di genere.

Precisiamo subito che a essere patologizzato dal DSM non è il non sentire una corrispondenza tra il genere biologico e l’identità di genere in sé, ma proprio gli effetti che questo comporta sul benessere psicologico dell’individuo, che vive in una condizione in cui non vede la possibilità di compiere pienamente la sua identità e, nel momento in cui riconosce questo fatto, diventa transgender. Con questo termine, quindi, si intende precisamente un modo di essere che appartiene all’ambito dell’identità di genere, contrapposto al cisgender.

Se la transessualità è quindi un modo di sentire, è anche vero che in seguito la persona può adottare una serie di comportamenti per cercare di riallinearsi con l’identità che davvero sente, ad esempio chiedendo agli altri di invertire il “lui” con il “lei” e viceversa quando gli si rivolgono, possono anche decidere di adottare un nuovo nome. In alcuni casi, ma non sempre, può cambiare il modo di vestire in base al genere al quale sente di appartenere, fino a iniziare un percorso cosiddetto di affermazione di genere, che prevede inizialmente una terapia ormonale e in seguito degli interventi chirurgici finalizzati ad avere anche dei connotati fisici coerenti con in genere di appartenenza.

Precisiamo, infine, che la transessualità è un tema che non ha nulla a che fare con l’orientamento sessuale, dal momento che ci sono persone transgender eterosessuali o omosessuali (l’orientamento si determina in base all’identità di genere, non al genere assegnato alla nascita!) esattamente come nel resto della popolazione. Si tratta di due aspetti totalmente disgiunti, e la comprensione è il primo passo per raggiungere l’accettazione, l’accoglienza e il rispetto.

Che cos’è la transfobia?

La transfobia, quindi, è un atteggiamento di chiusura, avversione e contrasto rivolto in maniera specifica alle persone transgender. Si tratta di comportamenti che hanno alla base un’incapacità di accettare la diversità intesa non come patologia ma come qualcosa che esca dalle norme imposte dalla società, generando ribrezzo, paura e perfino odio. Le reazioni in termini di agito possono essere di vario tipo, dalla violenza verbale (gli insulti per strada quando si incrocia una persona transgender), fisica (le aggressioni vere e proprie) o psicologica. Quest’ultima può essere perpetrata, per ingenuità e mancanza di cultura sull’argomento, anche da parte di persone care. Ad esempio, i genitori che non accettano la transessualità del figlio continuano a negare la sua condizione di malessere.

Ci sono anche dei casi in cui l’atteggiamento transfobico è rivolto da una persona transgender a se stessa, e in questo caso si parla di transfobia interiorizzata. In genere, comunque, è un fenomeno perpetrato da altri, segno di una grande lacuna nel lavoro educativo della società, fin dalla giovane età e diffusa anche in ambiti importanti. Ad esempio, i report statistici sottolineano quanto siano diffusi i comportamenti transfobici a scuola, prendendo la forma del bullismo, e perfino in campo sanitario, come discriminazione nell’accesso alle cure.

Alla base di tutto questo sono pensieri distorti, come l’idea che una donna trans non sia una vera donna (e lo stesso per gli uomini) e anche degli stereotipi, ad esempio che tutte le persone transgender si prostituiscano o abbiano delle personalità eccentriche e, quindi, mettano semplicemente in piedi una messa in scena per attirare l’attenzione. Il fine è sempre l’esclusione, l’isolamento, e questo differenzia la transfobia dalle microaggressioni, che invece sono piccoli agiti non volutamente discriminatori e inconsapevoli, che però possono comunque turbare la persona.

Da che cosa è causata la transfobia?

Le cause che possono determinare l’essere transfobico di un individuo possono essere molteplici, e spesso più di una concorre nel determinare questo risultato. Prima responsabile tra tutti è l’ignoranza. Questa non riguarda solo il fatto di non conoscere la differenza, ad esempio, tra una persona transgender e una omosessuale, ma anche il non rendersi conto di cosa dia origine a questa condizione e di come la stessa sia motivo di sofferenza per l’individuo. L’ignoranza crea una distanza tra la vittima e il carnefice, al punto che il secondo sembra quasi deumanizzare la prima, non vedendola come persona ma come un fenomeno da baraccone, che quindi non ha sentimenti che possano essere feriti da un insulto.

Al di là delle motivazioni personali, che a loro volta fomentano odio, anche la società dà il suo importante contributo all’alimentazione della transfobia. Ricordiamoci, infatti, che viviamo in una società fortemente cisgender, in cui qualsiasi devianza dalla norma viene percepita come strana, bizzarra, non normale o addirittura patologica. L’ideologia, ma anche la mancanza di normative specifiche e di informazione adeguata da parte delle istituzioni, sono fattori estremamente potenti, che rendono facile per le persone giudicare gli altri in base a stereotipi e dalla loro distanza dal sentire comune.

Il risultato di tutto questo è evidente non solo nelle scorrettezze che tutti i giorni le persone transgender devono subire da parte di persone che nemmeno conoscono, nella maggior parte dei casi, ma anche dai fatti di cronaca, che negli ultimi decenni, in cui gli individui transgender hanno iniziato a uscire allo scoperto rivendicando la propria identità in numero maggiore, registrano un numero di omicidi sempre maggiore in cui la vittima è proprio una persona appartenente a questa popolazione.

Contrastare l’omofobia e affermare la propria identità di genere

Come abbiamo detto in precedenza, i comportamenti transfobici possono causare danni significativi alla salute della persona, provocando una psicopatologia che necessita dell’intervento di uno psicoterapeuta. Se questo è il tuo caso, gli psicoterapeuti e le psicoterapeute che collaborano con Serenis possono aiutarti a superare questa difficoltà, riconquistando la libertà che l’ignoranza e la rigidità delle norme sociali ti stanno rubando.

Inoltre, se non hai ancora fatto un percorso di affermazione di genere, o desideri iniziare la tua transizione sociale, anche per questi obiettivi un supporto psicologico da parte di un esperto può esserti utile per affrontare tutte le difficoltà che potresti incontrare. Si tratta, infatti, di un percorso che richiede determinazione e coraggio per arrivare, alla fine, a completare la propria identità riuscendo finalmente a essere chi si è davvero.

Grazie al sostegno di un professionista, potrai contare su una guida in tutti i passaggi importanti, come la scelta del tuo nuovo nome se desideri cambiarlo, la presentazione del vero te stesso o della vera te stessa agli altri e perfino il percorso di affermazione di genere, fino a raggiungere ciò che davvero ti farà stare bene.

La psicoterapia online di Serenis

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Avvertenza

In questo articolo parliamo di “donne” e “uomini” per semplicità, ma avere questi o quei genitali non determina necessariamente l’identità di genere. Ci sembra giusto sottolinearlo.

Redazione

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.