Altruismo: cos’è e come si manifesta

L’altruismo, l’atto di mettere le esigenze altrui prima delle proprie, si manifesta in vari modi nella vita quotidiana e ha impatti positivi sia per chi dà che per chi riceve.

In psicologia, per altruismo si intende un modello comportamentale orientato al benessere dell’altro anche in assenza di un tornaconto personale. Si distingue dall’egoismo, che comporta la tendenza ad agire solo in vista di un potenziale beneficio.

L’altruista è quindi colui che agisce per il benessere dell’altro in maniera disinteressata.

In questo articolo, approfondiremo la definizione di altruismo dal punto di vista psicologico e neurologico; analizzeremo le possibili motivazioni alla base dell’altruismo e vedremo come esso tenda a manifestarsi nelle occasioni quotidiane.

Speriamo che, al termine della lettura, tu abbia trovato tutte le risposte che stavi cercando.

Altruismo: per una definizione

Il termine altruismo deriva dal latino alter, altro, e indica la tendenza e l’atteggiamento di chi è in grado di mettere l’interesse altrui prima del proprio. L’altruismo può manifestarsi in svariate forme, sia sociali che private:

  • può per esempio manifestarsi in opere di carità;
  • ma anche in gesti apparentemente privi di importanza che coinvolgono la sfera del quotidiano.

Molto in generale, l’altruista è allora una persona empatica, capace di comprendere i bisogni e i desideri degli altri e di fare il possibile per soddisfarli senza aspettarsi nulla in cambio.

Per empatia, intendiamo la capacità del soggetto di porsi nei panni degli altri comprendendo i loro processi psichici ed emotivi. Così, dinanzi ad una richiesta d’aiuto, il soggetto altruista ed empatico potrebbe comprendere la situazione di bisogno e agire attivamente per fornire un aiuto.

Perché si è altruisti?

Di recente, è stato dimostrato che la specie umana non è l’unica capace di altruismo. Per esempio, un esperimento condotto su dei pappagalli ha dimostrato che anche gli uccelli possono desiderare il beneficio dei loro simili senza aspettarsi nulla in cambio.

Più nel dettaglio, l’esperimento funzionava così:

  • ad alcuni pappagalli, chiusi in gabbia, veniva fornito un gettone;
  • questo gettone poteva poi essere scambiato con un premio (se fatto passare attraverso una piccola fessura che conduceva nella mano dello sperimentatore);
  • quando la fessura veniva chiusa, al posto di accumulare i gettoni, il pappagallo tendeva a passarli al pappagallo nella gabbia accanto (vi era una fessura atta allo scopo);
  • a sua volta, il secondo pappagallo poteva scambiare il gettone con l’esterno per ottenere dei premi.

Passando il gettone, il primo pappagallo non si aspettava quindi di ottenere alcun beneficio; desiderava che il proprio simile riuscisse a mangiare e ad ottenere dei premi.

Cause e motivazioni dell’altruismo

L’esperimento dimostra che le cause dell’altruismo possono essere di natura biologico-genetica. Inconsapevolmente, tendiamo ad essere più altruisti nei confronti di coloro che appartengono alla nostra specie o che condividono i nostri geni (per esempio verso i familiari). Questo perché siamo biologicamente portati a desiderare la sopravvivenza della nostra specie: si tratta della cosiddetta selezione di parentela.

Altre motivazioni possono comprendere:

  • modelli educativi;
  • cause di tipo neurologico;
  • cause cognitive.

L’altruismo è veramente altruista?

I modelli educativi possono influenzare il nostro rapporto con l’altro e il nostro stile di attaccamento e, quindi, i nostri modelli comportamentali. Se siamo cresciuti in un ambiente in cui l’altruismo era la regola, è più probabile che tenderemo ad adottare questo atteggiamento anche in futuro.

Le cause neurologiche, possono invece essere legate all’attivazione di alcuni centri di piacere in presenza di azioni altruistiche.

Infine, le cause cognitive possono riguardare il fatto per cui, agendo in maniera altruistica, tendiamo a migliorare l’immagine che abbiamo di noi stessi e quindi a sperimentare un piacere subliminale e incosciente.

Le motivazioni alla base dell’altruismo dimostrano che, dal punto di vista della neuroscienza, non esistono azioni propriamente disinteressate.

Come si insegna l’altruismo?

Molti genitori, desiderano insegnare il modello comportamentale altruistico ai propri figli. Non c’è niente di strano: oltre ad avere valore dal punto di vista morale, l’altruismo è anche un lasciapassare per una vita più serena e soddisfacente.

L’altruista tende infatti a costruire relazioni più sane con il prossimo; a desiderare il benessere altrui oltre che il proprio; a non tendere verso lo sviluppo di emozioni negative come la gelosia o l’invidia e molto altro ancora.

Ecco alcuni accorgimenti per insegnare l’altruismo ai nostri figli:

  • mediante apprendimento osservazionale.

Cioè agendo in maniera altruistica all’interno del nucleo familiare. Per una forma di condizionamento classico, nostro figlio tenderà a replicare questi comportamenti e a replicarli in futuro.

  • Mediante l’insegnamento di alcuni principi valoriali (come la gratitudine, con gesti pratici che possano facilitare l’apprendimento del bambino);
  • insegnandogli a gestire le emozioni negative come l’invidia, la gelosia o la rabbia.

In conclusione, è possibile sviluppare atteggiamenti altruistici attraverso percorsi terapeutici di tipo cognitivo-comportamentale, che ci insegnino a gestire le emozioni negative e a trasformarle in atteggiamenti positivi e fondati sull’amore verso noi stessi e verso il prossimo.

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Revisori

reviewer

Dott. Domenico De Donatis

Medico Psichiatra

Ordine dei Medici e Chirurghi della provincia di Pescara n. 4336

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli Studi di Parma. Specializzazione in Psichiatria presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.

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Dott. Federico Russo

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Neuropsicologo, Direttore Clinico di Serenis

Ordine degli Psicologi della Puglia n. 5048

Laurea in Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale a indirizzo neuropsicologico presso l’Istituto S. Chiara di Lecce.

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Dott.ssa Martina Migliore

Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Ordine degli Psicologi dell'Umbria n.892

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, docente e formatrice. Esperta in ACT e Superhero Therapy. Membro dell'Associazione CBT Italia, ACT Italia e SITCC. Esperta nell'applicazione di meccaniche derivanti dal gioco alle strategie terapeutiche evidence based e alla formazione aziendale.