Claustrofobia: la guida completa

Tutti abbiamo sentito parlare della claustrofobia, ma siamo sicuri di sapere veramente di che cosa si tratti e di non utilizzare questo termine a sproposito? È importante sapere, infatti, che si tratta di un disagio che può essere molto invalidante, dal momento che, come tutte le fobie, non solo porta a evitare ciò di cui si ha paura, ma può anche compromettere il funzionamento di chi ne soffre in particolari ambiti. Le fobie, infatti, si caratterizzano per essere delle reazioni irrazionali e spropositate rispetto allo stimolo che le innesca, ma per fortuna non sono neanche dei disturbi che non ammettono alcuna soluzione.

Di seguito cercheremo di definire in modo preciso cosa si intende esattamente per claustrofobia, facendoci aiutare dal DSM-5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali), e vedremo anche quali sono le possibilità di trattamento.

Che cos’è la claustrofobia?

La claustrofobia viene classificata dal DSM-5 nella sezione dei disturbi d’ansia e, precisamente, rientra tra le fobie specifiche, con le quali condivide tutte le caratteristiche e tutti i sintomi. In sostanza, si tratta di una reazione molto marcata di ansia o paura nei confronti degli spazi ristretti, chiusi o in qualche modo confinati.

Quando la persona si trova in situazioni che implicano il rimanere in un ambiente simile, ad esempio devono fare un viaggio in aereo o rimangono bloccate in bagno senza riuscire ad aprire la porta, o devono usare l’ascensore, vengono afferrate da un senso di costrizione che può causare diverse sensazioni, sia fisiche che a livello emotivo e cognitivo.

Si può sperimentare la paura di non riuscire a fuggire, fino a quella di rimanere per sempre bloccati e morire perché nessuno sarà in grado di intervenire o addirittura proprio per gli stessi sintomi fisici che si presentano. Questi possono essere di varia natura e gravità, fino a sfociare in un vero e proprio attacco di panico (evento che, peraltro, può meritare una diagnosi a parte), caratterizzato da senso di soffocamento, sudorazione, respiro e battito accelerati e molte altre variazioni fisiologiche che cambiano da persona a persona.

È proprio il terrore di doversi trovare in una situazione simile a scatenare la fobia per gli spazi chiusi, e di seguito vedremo come riconoscerla per capire se anche tu ne soffri.

Quali sono i sintomi della claustrofobia?

Il DSM descrive la fobia specifica elencando una serie di sintomi. Noi faremo riferimento specifico alla claustrofobia. Come abbiamo detto, il sintomo principale è costituito da una forte reazione ansiosa o di paura di fronte a uno stimolo particolare, ovvero gli spazi delimitati e chiusi. Solitamente basta vedere l’oggetto fobico, ad esempio un ascensore, perché questo scateni l’ansia.

In pratica, la persona vive una sorta di paura anticipatoria che la induce a evitare il più possibile la situazione temuta e, quando è costretto a viverla (ad esempio è costretto a prendere un aereo per spostarsi dall’Italia al Giappone), la sopporta con estrema difficoltà, provando intensi angoscia e timore.

Ma questa descrizione non è sufficiente a rendere l’idea di che cosa sia la claustrofobia, dal momento che in questo modo sembra una semplice paura. Ciò che la rende un vero e proprio disturbo è, piuttosto, il modo in cui la reazione emotiva sia sproporzionata rispetto allo stimolo e al pericolo che realmente si corre. Per questo motivo può accadere, e anche con una certa frequenza, che la fobia sfoci in un attacco di panico quando la persona si trova immersa nella situazione temuta.

Allo stesso tempo, questa esagerazione irrazionale limita molto l’individuo nello svolgimento di alcune attività. Ad esempio, potrà avere difficoltà a prendere l’ascensore per andare in ufficio o rinuncerà a delle situazioni sociali che potrebbero essere divertenti perché teme di trovarsi in una stanza troppo piccola. La compromissione, quindi, può riguardare più aree ed essere un vero ostacolo per la vita quotidiana.

Claustrofobia e altri disturbi d’ansia

In base a quello che abbiamo detto, potrebbero sorgere alcuni dubbi sulla sovrapponibilità tra claustrofobia e attacchi di panico. In realtà sono due cose ben distinte, in quanto i secondi possono presentarsi o meno in situazioni che l’individuo claustrofobico teme. Come abbiamo detto, in certi casi l’ansia causata dallo stimolo rimane ma non impedisce alla persona di agire. Gli attacchi di panico, quindi, possono essere una diretta conseguenza della claustrofobia, ma non sono sovrapponibili a essa. Anzi, in loro presenza occorre valutare se è il caso di fare una diagnosi aggiuntiva (si fa anche diagnosi di disturbo di panico se gli attacchi avvengono con frequenza e anche in situazioni non claustrofobiche).

Alcune similitudini ci sono anche con altri disturbi d’ansia, come l’agorafobia e la fobia sociale. Nel primo caso, la persona teme i luoghi affollati (che spesso, è vero, sono chiusi e delimitati, ma non sempre: l’individuo può anche avere paura delle piazze nei giorni di mercato, ad esempio). La reazione è la stessa, caratterizzata da ansia e paura, soprattutto dal timore di non riuscire a trovare una via di fuga e stare male senza che nessuno arrivi in soccorso, ma cambia lo stimolo fobico.

Nel caso della fobia sociale, invece, a mettere in agitazione sono le situazioni in cui la persona rischia di essere esposta al giudizio degli altri, ad esempio fare una presentazione, conoscere persone nuove o anche avere una conversazione con qualcuno. Quindi viaggiare su un mezzo di trasporto, ad esempio, può fare paura a un claustrofobico o a un agorafobico, ma generalmente non a una persona con fobia sociale, dal momento che non è una situazione che comporta un’interazione in maniera automatica.

Quanto dura la claustrofobia?

Tra i criteri che vengono consultati per stabilire se si possa fare diagnosi di claustrofobia, è presente anche un criterio temporale, che stabilisce che i sintomi debbano durare almeno sei mesi e presentarsi con costanza ogni volta che lo stimolo fobico si presenta.

Ovviamente la durata della claustrofobia è in realtà strettamente legata al suo trattamento: ci sono persone che vanno avanti a soffrirne per tutta la vita, mentre altre trovano delle strategie di gestione efficaci in breve tempo e riescono a raggiungere la remissione dei sintomi.

Quali sono le cause della claustrofobia?

Secondo il DSM, le origini della claustrofobia possono essere diverse, ma tante volte sono associate a un evento traumatico, che può essere stato subito in prima persona o da altri: in questo secondo caso, quindi, lo spettatore che ha assistito al trauma di una seconda persona, sviluppa una claustrofobia. In altri casi può esserci stato un attacco di panico completamente inaspettato, che casualmente si è svolto in una situazione che prima non faceva paura e, in seguito, diventerà oggetto della fobia specifica. Infine, altre volte ancora può essere un semplice passaggio di informazioni che viene vissuto così intensamente da dare luogo alla claustrofobia.

In ogni caso, solitamente la persona non ricorda in maniera specifica quale particolare evento abbia innescato il disturbo, che fa la sua comparsa il più delle volte durante l’infanzia, tra i 7 e gli 11 anni.

Quali sono i trattamenti per la claustrofobia?

Per superare la claustrofobia, la terapia raccomandata coincide con la psicoterapia.

In particolare, potrai imparare a gestire i pensieri che sono associati allo stimolo fobico fino a riuscire a esercitare un maggiore controllo delle reazioni che questo può scatenare. I pensieri catastrofici potranno essere contenuti, lasciando il posto a considerazioni più moderate che aiuteranno a limitare l’ansia e la compromissione della quotidianità.

Possono essere utili anche le tecniche di rilassamento e respirazione che, se messe in pratica con la guida di un esperto, aiutano la persona a tenere sotto controllo l’ansia e a gestire meglio le variazioni fisiologiche che la accompagnano.

Molto utilizzata è anche la terapia dell’esposizione, in cui il paziente viene incoraggiato ad affrontare situazioni che gradualmente lo porteranno più vicino alla sua paura. Nei casi gravi, alla psicoterapia fa da supporto una terapia farmacologica a base di ansiolitici, ma è importante precisare che gli psicofarmaci sono molto utili per contenere il sintomo e limitare la sua comparsa, ma non curano la patologia.

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Revisori

reviewer

Dott. Raffaele Avico

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista certificato EMDR I

Ordine degli Psicologi del Piemonte num. 5822

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista EMDR. È membro della ESDT (European Society for Trauma and Dissociation) e socio AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione).

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Dott. Rosario Urbani

Psicoterapeuta specializzato in cognitivo comportamentale

Ordine degli Psicologi della Campania num. 6653/A

Laureato in Neuroscienze presso la Seconda Università di Napoli. Specializzato presso l’istituto Skinner in psicoterapia cognitivo comportamentale. Analista del comportamento ABA e specializzato anche nella tecnica terapeutica dell'EMDR.

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Dott.ssa Maria Vallillo

Psicoterapeuta specialista in Lifespan Developmental Psychology

Ordine degli Psicologi del Lazio num. 25732

Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in psicoterapia e psicologia del ciclo di vita presso l’Università la Sapienza di Roma. Esperta in neuropsicologia e psicodiagnostica e perfezionata in psico-oncologia.