Guida completa al burnout: dai sintomi alla cura

Questa guida al burnout è indirizzata a chi pensa di essere in burnout o ha amici che potrebbero esserlo. Ti spiegherà come uscirne e darà informazioni scientificamente affidabili sulla sindrome di burnout. La Guida è curata da Serenis, piattaforma di psicoterapia online.

Se pensi di essere arrivato alla frutta, di non poter più sopportare lo stress lavorativo, forse sei in burnout. Tuttavia, occorre fare delle distinzioni per non cadere nell’errore della diagnosi facile. Non tutte le persone che soffrono di stress sono in burnout. Ma cos’è e quali sono i sintomi del burnout? Ti spieghiamo tutto in questa guida completa.

Cos’è la sindrome di burnout

La sindrome di burnout è quindi una condizione legata al lavoro di una persona che, dopo un periodo prolungato di stress legato alla mansione particolare, provoca sintomi emotivi, cognitivi, ma anche fisiologici e comportamentali. Per capire cos’è la sindrome di burnout di preciso, possiamo citare una delle prime definizioni di burnout che sono state date dalla psicologa americana Christina Maslach nel 1986: “Il burnout è una sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale che può manifestarsi in soggetti che svolgono un lavoro sociale di diverso genere”.

Il burnout colpisce infatti soprattutto chi lavora a contatto con le persone e con le relazioni interpersonali, come i lavori di assistenza, ma anche insegnanti e guardie carcerarie ne sono affette, e può interessare più in generale lavoratori di ogni ambito. Una situazione professionale logorante per corpo e mente che si protrae a lungo e diventa la causa di uno stress cronico e di tensione emotiva, può portare a non sentirsi più sé stessi, a provare apatia, crollo emotivo, ansia, demoralizzazione e molti altri problemi psichici. Un logorio psichico che causa non solo disagio mentale, ma anche problemi fisici. Quello che una volta veniva chiamato esaurimento nervoso da lavoro.

Il termine burnout è molto evocativo nella lingua inglese. Descrive infatti un qualcosa che si è spento dopo aver bruciato a lungo: con questa parola si vuole proprio delineare quel momento in cui una persona si sente spenta, priva di motivazione, apatica, cinica e alle volte persino disperata. Anche l’etimologia di stress evoca uno sforzo e una pressione eccessivi e dà l’idea di qualcosa che si può spezzare da un momento all’altro. Non si può morire di stress, tuttavia non bisogna sottovalutare i suoi effetti. Per questo motivo se ne parla molto nel mondo della salute mentale. In particolare, il burnout in psicologia è considerato una sindrome e non un disturbo unitario. Cioè, come tutte le sindromi psicologiche, si tratta di un problema che ha molte sfaccettature e molte dimensioni diverse.

Ma partiamo da due grandi distinzioni che bisogna fare quando si parla di questa sindrome per capire il significato del burnout. Innanzitutto, non si tratta di un disturbo mentale, ma di una sindrome da stress legata all’ambiente lavorativo, come ha specificato l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ecco allora che non si dovrebbe parlare di burnout se lo stress e i sintomi che si provano sono legati ad altri ambiti della nostra vita. Burnout e lavoro sono strettamente legati. La seconda distinzione doverosa è legata al rapporto stretto che questa condizione ha con lo stress. Stress è sinonimo di burnout? Burnout e stress non sono la stessa cosa. Una situazione prolungata di stress sul posto di lavoro può portare al burnout.

Psicologo per burnout

Quali sono le cause del burnout

Le cause del burnout sono da ricercare principalmente nello squilibrio tra le richieste del lavoro e le capacità personali di farvi fronte. Un lavoro troppo stressante potrebbe portare al burnout una persona che non ha le risorse sociali, mentali, economiche o ambientali per affrontarlo. Tuttavia, non tutte le persone che hanno problemi con il proprio lavoro arrivano a un crollo nervoso, un crollo emotivo o sviluppano la sindrome del burnout.

Sono molti i modelli teorici che cercano di spiegare come si sviluppa il burnout, ma tutti concordano sull’intervento di fattori personali oltre ad alcune caratteristiche del lavoro in sé. Ecco una lista delle possibili cause del burnout:

  • Aspettative esagerate: affrontare il lavoro con troppe aspettative, perfezionismo e rigidità è uno dei fattori di rischio principali.
  • Scarso controllo e qualifiche inadeguate: se nel proprio ruolo si ha poco spazio decisionale, poco controllo delle proprie mansioni o il carico di lavoro è esagerato rispetto alle capacità, il burnout è dietro l’angolo.
  • Stress: non basta che si tratti di stress cronico, deve essere uno stress lavorativo. I sintomi fisici dello stress da lavoro sono identici, ma quelli mentali sono legati a pensieri che dipendono dal lavoro.
  • Ansia: anche in questo caso, non basta che si tratti di ansia generalizzata; per sviluppare il burnout deve essere presente l’ansia da lavoro. Attenzione, perché può anche essere una conseguenza del burnout.
  • Depressione: è difficile stabilire in molti casi se arriva prima la depressione da lavoro o il burnout, tuttavia è spesso presente come una delle cause. Certo è che per parlare di burnout, depressione e lavoro devono essere collegati. Occorre precisare che la depressione in questo caso è generata da un collasso energetico a seguito di un tentativo di iper-compensare una situazione di stress protratto, dunque, non si tratta di una depressione maggiore, ma di una depressione reattiva che si manifesta come un senso di prostrazione estrema.
  • Cause emotive: una forte tensione emotiva legata al lavoro può portare a un esaurimento emotivo, con un conseguente logorio della sfera affettiva e delle relazioni sociali.

Quali sono gli stadi del burnout

Gli psicologi americani Freudenberger e North hanno sviluppato un modello che prevede 12 stadi del burnout. La sindrome da burnout segue uno sviluppo tipico e riconoscibile un po’ in tutte le persone. Il modello serve a spiegare come nasce il burnout e perché si presenta in alcune persone e in altre no. Quello che si può dire con certezza è che il burnout si presenta in quelle condizioni in cui c’è un disequilibrio tra le richieste del lavoro e le risorse – personali o aziendali – a disposizione.

Il fatto di essere sottoposti alle pressioni di conflitti nelle relazioni interpersonali con i colleghi o con le persone assistite o clienti, è poi cruciale. In particolare, uno scarso supporto sociale, un basso livello di autonomia e uno scarso coinvolgimento nelle decisioni lavorative, sono fattori molto pesanti nella cronicizzazione dello stress che porta al burnout.

Ecco tutti gli stadi di sviluppo del burnout:

  1. Troppa ambizione: tutto comincia con la spinta a dimostrare il proprio valore in modo ossessivo.
  2. Lavorare troppo: diventa difficile staccare e lavori troppo a lungo.
  3. Trascurare i bisogni personali: tra i bisogni primari ci sono il sonno e il riposo, una vita sociale, l’attività fisica e un’alimentazione adeguata, ma te ne dimentichi.
  4. Non affrontare i conflitti: cominci a negare le problematiche, le liquidi subito, ma ti senti minacciato, impaurito, svalutato.
  5. Revisione dei valori: i tuoi valori sono distorti, gli amici e la famiglia dimenticati, gli hobby visti come irrilevanti. Il lavoro è l’unico obiettivo.
  6. Negazione: l’intolleranza verso chi ti circonda aumenta. I responsabili di tutti i problemi sono gli altri, che vengono visti come incompetenti, pigri e prepotenti.
  7. Ritiro: cominci a ritirarti dalla famiglia e dagli amici. Gli inviti alle feste, ai film e alle cene iniziano a sembrare pesanti, invece che piacevoli.
  8. Cambiamenti comportamentali strani: il tuo comportamento cambia in modo evidente; amici e famiglia sono molto preoccupati.
  9. Depersonalizzazione: ti senti estraneo da te stesso, dal tuo corpo, dai tuoi ruoli e dalla tua vita.
  10. Senso di vuoto e ansia: l’angoscia è il tuo sottofondo costante, perdi motivazione e desiderio, cerchi di rimediare con alcol, droghe, sesso e attività esagerate.
  11. Depressione: ti senti perso e insicuro, esausto, il futuro diventa squallido e buio.
  12. Collasso fisico e/o mentale: corpo e mente non ce la fanno più. Hai bisogno di un aiuto psicologico per uscirne.

E quali sono le conseguenze del burnout? Prima di tutto la persona in burnout offre una scadente qualità del lavoro. In più può essere soggetta ad assenteismo, turnover, morale basso, problemi di salute di tipo diverso e depressione. Tra i sintomi secondari del burnout, infatti, si possono elencare disturbi e somatizzazioni vari, come problemi dermatologici, intestinali, frequenti influenze e raffreddori, e una generale debolezza del sistema immunitario.

Quali sono i sintomi del burnout?

I principali sintomi del burnout sono la sensazione di non farcela più nel proprio lavoro, l’aver perso l’amore per ciò che si fa, la spinta motivazionale e l’entusiasmo. Chi soffre della sindrome del burnout percepisce un senso di vuoto, la sensazione di non aver più nulla da offrire, di essere scarico e stremato. Inoltre, la depersonalizzazione di cui parla Maslach consiste nell’esperienza di estraneità e scollegamento dal proprio corpo o dai propri pensieri. Un po’ come se si stesse osservando la propria vita dall’esterno.

Chi ne soffre riporta spesso una valutazione negativa di sé, del proprio valore e della realizzazione lavorativa. Questo sentimento porta la persona ad allontanarsi e disimpegnarsi nel lavoro, innescando un circolo vizioso che porta al distacco, alla negatività e all’indifferenza.

I sintomi del burnout possono essere molteplici e investono l’area emotiva, cognitiva, comportamentale e fisiologica. Bisogna sottolineare che nel burnout i sintomi si presentano in maniera differente da persona a persona. Non tutti i sintomi devono essere per forza presenti, sarà uno psicologo a determinare la diagnosi corretta di caso in caso. Ecco quindi una lista di tutti i sintomi più importanti:

  • Stanchezza e spossatezza: nel burnout l’affaticamento è cronico, spesso non motivato e le persone riportano una sensazione di sfinimento vero e proprio.
  • Stanchezza mentale: sintomi come stanchezza psicologica e svogliatezza sono la traduzione di espressioni tipiche delle persone in burnout, come: “non ho voglia di fare niente, solo dormire” o “non ho più voglia di lavorare”.
  • Stress: è più di un sintomo, perché è sia causa che conseguenza, ma anche manifestazione del burnout. Può essere riconoscibile quando si presenta come nausea da stress o tachicardia da stress.
  • Insonnia e disturbi del sonno: dormire male è un sintomo frequente, e spesso conduce all’abuso di farmaci e sostanze.
  • Cefalea o emicrania: compare spesso in persone che non ce l’hanno mai avuto prima.
  • Difficoltà di concentrazione: può essere conseguenza dell’insonnia, legata alla stanchezza e al mal di testa, ma può anche comparire come sintomo primario.
  • Raffreddore e influenza: se frequenti e fuori stagione possono dipendere dallo stress.
  • Turbe gastroenteriche come nausea da stress o inappetenza: possono causare forti dimagrimenti e carenze alimentari.
  • Ansia e depressione: sono le patologie più frequentemente associate al burnout. Stanchezza e tachicardia si presentano spesso assieme come preamboli dell’ansia sul lavoro, mentre stanchezza e depressione dell’umore sono spesso avvisaglie di una depressione maggiore.
  • Angoscia: è una sensazione di sottofondo che le persone riportano durante le ore di lavoro, ma anche prima e dopo di queste. Chi è in burnout arriva a pensare ogni giorno: “non riesco a lavorare per l’ansia”.
  • Diffidenza e cinismo: è una delle prime manifestazioni comportamentali sul lavoro.
  • Depersonalizzazione: sintomi che afferiscono al senso di vuoto alla testa, al distacco dalla realtà, insorgono quando si perde il senso della vita e la sensazione di non essere più sé stessi diventa depersonalizzazione.
  • Abuso di sostanze tossiche: non riguarda tutte le persone colpite da burnout, ma è un esito molto pericoloso di questa sindrome.
  • Esaurimento nervoso, fisico ed emotivo: spesso le persone riportano questo sintomo per primo e partono parlando della loro insoddisfazione cronica o di una depressione cronica legata al lavoro. L’esaurimento è quella sensazione di impotenza, quando pensi di non farcela più e di non avere alcuna soluzione.
  • Distacco emotivo: strettamente collegato al precedente, innesca un calo di motivazione.
  • Rabbia: in questo caso si presenta in maniera scollegata da fatti particolari, è un astio generalizzato.
  • Irritabilità e litigiosità: proprio come la rabbia e l’angoscia, la persona è molto suscettibile, permalosa e con i nervi a fior di pelle.
  • Abuso di alcol, fumo o sostanze: è un sintomo secondario, ovvero un comportamento che compare in seguito e a causa di altri sintomi spiacevoli come il disagio psichico, la tensione emotiva, e la paura del lavoro.

Psicologo per burnout

Depersonalizzazione e burnout

La depersonalizzazione è uno dei sintomi principali del burnout e consiste nel sentirsi diversi da come si era prima, ci si sente fuori dal proprio corpo e si ha la sensazione di non esistere. Per comprendere il significato della depersonalizzazione, bisogna prima dire che il disturbo di depersonalizzazione è ufficialmente riconosciuto e inserito nei manuali diagnostici dei disturbi mentali.
Tuttavia, può anche presentarsi come sintomo all’interno di una sindrome, come quella del burnout. I sintomi della depersonalizzazione sono caratterizzati da una persistente o ricorrente sensazione di estraneità, di scollegamento dal proprio corpo o dai propri processi mentali.

Per la precisione, derealizzazione e depersonalizzazione sono sintomi relativamente rari e sono da ascrivere a una categoria di sintomi definiti dissociativi. Infatti, sono delle modalità grazie alle quali la mente può fuggire dal momento presente e alienarsi da una realtà esterna percepita come troppo stressante o impegnativa da gestire.

Derealizzazione e burnout: quali sono le differenze

La derealizzazione, a differenza della depersonalizzazione in cui la persona sente come se stesse osservando la propria vita dall’esterno, è la sensazione di essere dissociati dall’ambiente circostante, di vivere in una realtà diversa o nella mancanza di senso della realtà. Nulla ha più senso, tutto appare come strano e diverso da prima.
La differenza tra derealizzazione e depersonalizzazione consiste nel fatto che nella prima è la realtà esterna a non essere riconosciuta, mentre nella seconda è quella interna, è il sé a essere messo in discussione.

Quali sono i tipi di burnout

Trattandosi di una sindrome, ci possono essere vari tipi di burnout a seconda delle caratteristiche personali, ma soprattutto di quelle lavorative. I tipi di burnout dipendono da quale lavoro si fa. Come abbiamo precisato, questo problema può colpire tutti i lavoratori, ma chi è a rischio burnout ha molte più probabilità di soffrirne. Le persone che ne sono più colpite sono i lavoratori del sociale, del settore sanitario e dell’ambito assistenziale. Spesso si parla proprio di sindrome da burnout nelle professioni sanitarie, proprio perché questo ambiente di lavoro è molto soggetto allo stress lavorativo, al sovraccarico di lavoro e può portare a un vero e proprio esaurimento lavorativo, come veniva chiamato un tempo il burnout.

Insegnanti, educatori, oss, infermieri, psichiatri, ma anche medici di base e badanti sono tra le categorie più colpite. Il fattore che lega tutte le professioni più soggette a burnout è il coinvolgimento emotivo e il contatto prolungato con altre persone. Di recente, si incomincia a parlare anche di burnout per studenti e genitori.

Come capire se si è a rischio burnout? Le prime avvisaglie possono essere colte anche prima di sviluppare problemi fisici o comportamenti pericolosi, come l’assunzione di alcol o sostanze stupefacenti per far fronte allo stress. Tra queste, l’atteggiamento cinico e l’indifferenza sono esemplari. Ma spesso una persona in burnout è piena di rabbia, ha letteralmente i nervi a fior di pelle, è suscettibile, rabbiosa e litigiosa, si dimentica appuntamenti e informazioni centrali, dorme poco e male ed è disinteressata e negativa. E ancora, ha paura di lavorare, ha paura di non farcela, o si ripete: “mi sento incapace al lavoro”.

A differenza di quanto si possa pensare, le persone in burnout sono molto spesso persone “normali”, che non hanno mai sofferto prima di particolari problemi psichici. I sintomi, infatti, sono strettamente legati alla sfera lavorativa, e non a quella privata.

Quali sono i test per misurare il burnout

Il Maslach Burnout Inventory™ (MBI) è il test più diffuso per individuare e misurare il burnout. Sviluppato dalla psicologa Maslach, è composto da una serie di domande a cui la persona interessata dovrà rispondere su una scala a 7 punti, che vanno da “mai” a “sempre”. Comprende domande come: “mi sento prosciugato emotivamente dal mio lavoro” o “metto in dubbio il significato del mio lavoro”.

Recentemente il test, utilizzato e affinato in oltre 35 anni, è stato adattato a diversi ambiti professionali tra i più soggetti a burnout. Educatori, medici e anche studenti hanno ora una loro versione personalizzata.

Si può andare in malattia per burnout?

Il burnout di per sé è una sindrome che non rende invalidi o inabili al lavoro, tuttavia può scatenare diversi disturbi che possono risultare un ostacolo al lavoro. Il medico curante, dopo aver fatto la diagnosi di burnout, può decidere di esentare la persona dal lavoro per non subire ulteriore stress. A livello burocratico, le procedure sono le stesse di qualsiasi altra malattia. Il medico redige il certificato medico e lo invia telematicamente all’INPS.

Quanti giorni di malattia si possono prendere a causa di burnout? Dipende molto dalle valutazioni specifiche del medico, ma si può andare ragionevolmente da un giorno, fino anche a 15 giorni per il completo recupero. Il massimo consentito dalla legge in un anno solare è di 180 giorni di malattia in tutto. In ogni caso, il lavoratore dovrà avvertire il datore di lavoro dell’assenza e comunicare il numero di protocollo del certificato.

Come si cura

La prima cosa da fare se pensi di avere i sintomi del burnout è chiedere un consulto medico o psicologico. Solo a quel punto, infatti, un professionista può fare una diagnosi precisa e prescrivere una cura adeguata. Il trattamento del burnout, appunto, è e deve sempre essere personalizzato. Questo perché si tratta di un problema che dipende da molte caratteristiche uniche della persona in questione e non è mai generalizzabile.

In generale, si può dire che l’obiettivo della cura è quello di ridurre l’ansia, trattare la depressione e i sentimenti di svalutazione, negatività e depersonalizzazione. Ma la persona che soffre di questo problema potrebbe anche aver sviluppato una dipendenza da fumo, alcol o sostanze psicotrope. Spesso le abitudini di vita durante il burnout peggiorano, con una tendenziale sedentarietà, una dieta squilibrata e la mancanza di hobby o attività ricreative e contatto sociale.

In caso di burnout, come se ne esce? Nella maggior parte dei casi il burnout si cura con una terapia psicologica, in alcuni casi accompagnata dall’assunzione di farmaci prescritti in maniera personalizzata da uno specialista. La prevenzione è molto importante, così come la volontà e l’impegno di chi vuole capire come superare il burnout per ritrovare la gioia di fare il lavoro che prima si amava.

La psicoterapia per curare il burnout

Il percorso che attualmente risulta essere più efficace per affrontare seriamente il burnout – e curarlo – è quello psicoterapeutico. Ogni percorso è a sé, e ogni psicoterapeuta svolge le sedute secondo un approccio terapeutico: per questo per intraprenderne uno per il burnout – e in generale sempre – è importante sapersi muovere tra i vari orientamenti che esistono. Te ne citiamo tre tra i più utilizzati:

  • cognitivo-comportamentale: si concentra (appunto) sui comportamenti. Prevede protocolli ed esercizi pratici, anche da svolgere a casa, grazie ai quali è possibile iniziare a fare le cose in maniera diversa;
  • psicodinamica: durante le sedute ci si focalizza sull’inconscio, sui sogni e sul passato, attraverso conversazioni molto introspettive, quasi dei “pensieri ad alta voce”, per individuare le forze che influenzano il nostro stato d’animo;
  • sistemico-relazionale: tiene conto di come ci si relaziona, utilizzando diversi strumenti, come il genogramma e le domande circolari, che servono a risolvere i legami disfunzionali e a farci stare meglio come individui.

Il burnout può essere curato e trattato in generale da tutti gli approcci psicoterapeutici, bisogna scegliere in base a cosa si preferisce, e magari chiedendo consiglio a una persona esperta (se è possibile).

Quali farmaci prendere per curare il burnout

Il ricorso a farmaci per curare il burnout è raro, e in ogni caso spetta sempre a uno psichiatra la prescrizione di qualsiasi trattamento farmacologico. Anche un medico di base potrebbe prescrivere dei farmaci per curare non il burnout in sé, ma alcune delle manifestazioni a esso correlate, come la nausea, l’emicrania o la gastrite.

In generale, si cerca di curare il burnout con la psicoterapia e con l’implementazione di uno stile di vita sano e attivo. Spesso si consigliano lo Yoga, lo Zen, il training autogeno, la meditazione, esercizi di respirazione e tanto movimento. In alcuni casi si può ricorrere a una terapia naturale complementare, con oli essenziali, estratti e tisane. Anche in questo caso, sarà sempre bene ricorrere al consulto specialistico.

Come prevenire il burnout

La prevenzione del burnout è spesso il modo migliore per combatterlo, e le cose da fare per evitarlo sono dei semplici accorgimenti per migliorare la propria vita lavorativa. Secondo le statistiche di uno studio condotto dalla Harvard Business School, i costi del burnout in termini economici vanno dai 125 ai 190 miliardi di dollari l’anno negli Stati Uniti, e sono destinati ad aumentare.

Psicologi e psicoterapeuti insistono nel sottolineare l’importanza di assicurare le condizioni migliori per i lavoratori e per questi ultimi è molto importante la consapevolezza su questa sindrome e su come prevenirla. Non di rado, infatti, persone che hanno già sofferto di burnout e non hanno chiesto aiuto psicologico, hanno avuto una ricaduta.

Ecco allora che prevenire il burnout diventa essenziale anche per chi lo ha già superato. I risultati del burnout sono infatti un forte assenteismo, una scadente qualità del lavoro e un aumento del turnover, oltre all’uscita prematura dal mondo del lavoro nei casi più gravi. La psicologa Maslach individua sei aree di intervento che si legano a sei obiettivi per la prevenzione:

  • Sovraccarico di lavoro: bisogna individuarlo prima di tutto, quindi serve un’ottima comunicazione tra colleghi per raggiungere un carico di lavoro sostenibile. Uno psicologo del lavoro o uno psicoterapeuta possono aiutare a comunicare il proprio disagio.
  • Insufficiente controllo sul lavoro: chi sente di non avere il controllo del proprio ruolo e delle proprie mansioni è a forte rischio burnout. L’obiettivo è aumentare la possibilità di scegliere e la sensazione di controllo. Nel percorso terapeutico questi punti sono i cardini del rapporto tra la persona e il proprio lavoro.
  • Compenso insufficiente: bisogna raggiungere un compenso adeguato e il riconoscimento delle capacità e dei meriti del lavoratore. Un terapeuta può guidare la persona a capire quali sono le proprie aspettative, abilità e i propri limiti.
  • Disgregazione della comunità: aumentare il senso di comunità e di appartenenza sul posto di lavoro è essenziale. Socializzare spesso è difficile per molte persone, così come gestire i conflitti. La psicoterapia è lo strumento migliore in entrambi i casi.
  • Assenza di equità: rispetto, giustizia e parità di trattamento per tutti i lavoratori sono fondamentali. In un percorso psicoterapeutico si affronta anche il modo migliore per far valere i propri diritti e per rendersi conto di quando non vengono rispettati.
  • Conflitto di valori: il lavoro deve rappresentare un momento significativo per la persona. Uno psicologo può aiutare a diventare più autoconsapevoli e capire se il lavoro che si sta facendo è quello giusto.

Queste linee guida si traducono in una cultura del lavoro in cui si fissano dei confini e dei limiti tra lavoro e sfera personale, con orari definiti e mansioni ben delineate. Ma occorre anche puntare sulla comunicazione, sulla promozione della salute fisica e mentale, del riposo e dello svago. Infine, sarebbe molto utile incentivare i lavoratori a chiedere aiuto a un terapeuta in caso di necessità.

Psicoterapeuta: come scegliere

Una volta presa la decisione di farti aiutare da uno o una psicoterapeuta per prenderti cura di te, è il momento di trovare la persona giusta. La decisione non è semplice: ci sono diverse scuole di psicoterapia con diverse tecniche. Ma è proprio questo uno dei momenti più delicati, perché scegliere quella sbagliata potrebbe far fallire la terapia. Ecco qualche consiglio per intraprendere il percorso che fa per te:

  • Scegli qualcuno che non sia legato a parenti o amici: durante la terapia devi sentirti tranquillo o tranquilla e poterti aprire completamente. Questo avviene meglio con professionisti che non sono connessi alla tua sfera di conoscenze;
  • Trova uno o una psicoterapeuta con esperienza: per quanto tutti i terapeuti abbiano avuto una formazione completa, migliaia di ore di esperienza sul campo e una specializzazione sono garanzia di un percorso di successo;
  •  Scegli qualcuno con cui entri in sintonia: questo lo puoi sapere veramente solo provando una seduta, ma in fase di prenotazione puoi porre delle domande che ti aiuteranno a capire meglio se lo o la psicoterapeuta che hai scelto fa al caso tuo. Come sarà strutturato il percorso? Su cosa ci si concentrerà? Sono previsti esercizi e compiti a casa?

Una soluzione è il servizio di psicoterapia online di Serenis, il centro medico che, tra le altre cose, cura anche questo blog. Serenis ha solo psicoterapeuti esperti. Te ne assegna uno adatto alla tua situazione, con cui farai una prova gratuita e inizierai un percorso (e se per qualche motivo non entri in sintonia, puoi richiedere un terapeuta diverso con un clic). Ci sono anche molti altri modi per trovare uno psicoterapeuta valido: per esempio puoi chiedere al medico di base o rivolgerti a un consultorio nella tua zona. L’importante è fare il primo passo.

Bibliografia e approfondimenti

Questa pagina è stata verificata

I nostri contenuti superano un processo di revisione in tre fasi.

Scrittura

Ogni articolo viene scritto o esaminato da uno psicoterapeuta prima di essere pubblicato.

Controllo

Ogni articolo contiene una bibliografia con le fonti citate, per permettere di verificare il contenuto.

Chiarezza

Ogni articolo è rivisto dal punto di vista stilistico, per agevolare la lettura e la comprensione.

Revisori

reviewer

Dott. Raffaele Avico

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista certificato EMDR I

Ordine degli Psicologi del Piemonte num. 5822

Psicoterapeuta, psicotraumatologo e terapista EMDR. È membro della ESDT (European Society for Trauma and Dissociation) e socio AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione).

reviewer

Dott. Rosario Urbani

Psicoterapeuta specializzato in cognitivo comportamentale

Ordine degli Psicologi della Campania num. 6653/A

Laureato in Neuroscienze presso la Seconda Università di Napoli. Specializzato presso l’istituto Skinner in psicoterapia cognitivo comportamentale. Analista del comportamento ABA e specializzato anche nella tecnica terapeutica dell'EMDR.

reviewer

Dott.ssa Maria Vallillo

Psicoterapeuta specialista in Lifespan Developmental Psychology

Ordine degli Psicologi del Lazio num. 25732

Laurea in Psicologia presso l'Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in psicoterapia e psicologia del ciclo di vita presso l’Università la Sapienza di Roma. Esperta in neuropsicologia e psicodiagnostica e perfezionata in psico-oncologia.