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La copertina della puntata: una figura che rallenta così tanto da cadere all'indietro, con sotto la scritta "Rallentare".La copertina della puntata: una figura che rallenta così tanto da cadere all'indietro, con sotto la scritta "Rallentare".La copertina della puntata: una figura che rallenta così tanto da cadere all'indietro, con sotto la scritta "Rallentare".

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Oggi parliamo di velocità

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Quando diciamo che il tempo “vola”, ci riferiamo al fatto che passa molto in fretta. Ma forse è anche un modo per dire che non possiamo afferrarlo (perché le ali non le abbiamo).

Abbiamo invece spirito di sacrificio, voglia di fare e tanta pressione sociale. Tutte cose che possono portarci a tenere il piede sull’acceleratore, per diverse ragioni.

1.

Andare veloci ci dà l’impressione di fregare il tempo. “Se non posso rallentarlo, lavorerò il doppio nello stesso numero di ore”.


2.

Può anche sembrarci l’unico modo per inseguire alcuni pseudo-standard: laurearsi in fretta, guadagnare di più, fare carriera entro una certa età.


3.

A volte entra in gioco una lettura distorta del concetto di costruire: “mi sacrifico oggi per essere felice domani”. Come se essere felici oggi non fosse importante.



Naturalmente non c’è nulla di male a dare valore al tempo, e a volerlo sfruttare al meglio delle proprie possibilità. Ma spremersi troppo e troppo a lungo è controproducente, soprattutto se si vuole raggiungere un risultato.

Lavorare sempre è un po’ come tenere il motore dell’auto fisso a cinquemila giri: alla lunga lo fondiamo.

Magari sappiamo, perché il nostro corpo cerca di dircelo, che andare a una sola velocità ci fa male. Però teniamo duro: staccare, pensiamo, ci allontanerebbe dall’obiettivo.



In realtà è vero il contrario. La stanchezza mentale riduce la concentrazione, la capacità di prendere decisioni e quella di correggere gli errori. Non a caso, fare pause di almeno 10 minuti durante la giornata lavorativa si è dimostrata una strategia efficace per migliorare la produttività.



Quell’atteggiamento “eroico”, insomma, non ci aiuta neanche sul lavoro. In compenso produce stress, che crea problemi a breve e a lungo termine. Una delle possibili conseguenze si chiama “burnout”.

Tre orologi con le ali, che sembrano fluttuare nella pagina.
Una persona così indaffarata da moltiplicare la propria presenza (ma solo in apparenza: le persone non si moltiplicano).

Quando diciamo che il tempo “vola”, ci riferiamo al fatto che passa molto in fretta. Ma forse è anche un modo per dire che non possiamo afferrarlo (perché le ali non le abbiamo).

Abbiamo invece spirito di sacrificio, voglia di fare e tanta pressione sociale. Tutte cose che possono portarci a tenere il piede sull’acceleratore, per diverse ragioni.

1.

Andare veloci ci dà l’impressione di fregare il tempo. “Se non posso rallentarlo, lavorerò il doppio nello stesso numero di ore”.


2.

Può anche sembrarci l’unico modo per inseguire alcuni pseudo-standard: laurearsi in fretta, guadagnare di più, fare carriera entro una certa età.


3.

A volte entra in gioco una lettura distorta del concetto di costruire: “mi sacrifico oggi per essere felice domani”. Come se essere felici oggi non fosse importante.



Naturalmente non c’è nulla di male a dare valore al tempo, e a volerlo sfruttare al meglio delle proprie possibilità. Ma spremersi troppo e troppo a lungo è controproducente, soprattutto se si vuole raggiungere un risultato.

Lavorare sempre è un po’ come tenere il motore dell’auto fisso a cinquemila giri: alla lunga lo fondiamo.

Magari sappiamo, perché il nostro corpo cerca di dircelo, che andare a una sola velocità ci fa male. Però teniamo duro: staccare, pensiamo, ci allontanerebbe dall’obiettivo.



In realtà è vero il contrario. La stanchezza mentale riduce la concentrazione, la capacità di prendere decisioni e quella di correggere gli errori. Non a caso, fare pause di almeno 10 minuti durante la giornata lavorativa si è dimostrata una strategia efficace per migliorare la produttività.



Quell’atteggiamento “eroico”, insomma, non ci aiuta neanche sul lavoro. In compenso produce stress, che crea problemi a breve e a lungo termine. Una delle possibili conseguenze si chiama “burnout”.

(O “sindrome da esaurimento professionale”)

Cos'è

Uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale causato dallo stress cronico legato al lavoro.

Possibili effetti

Stanchezza, mal di testa, palpitazioni, disturbi dermatologici, cardiovascolari, del sonno e dell’umore.

Contribuiscono

Carico eccessivo, scadenze pressanti, scarsa autonomia, ambiente caotico, pochi riconoscimenti, aspettative irrealistiche.

48%

La percentuale di under-30 che crede di aver sofferto di burnout, in un sondaggio svolto tra 10.243 “knowledge workers” (persone che, semplificando, “lavorano con la mente”).

Sondaggio: Future Forum Pulse, 2023.

25%

La riduzione del rischio di malattie cardiovascolari in chi riesce a fermarsi, per via degli effetti positivi sulla pressione sanguigna.


Studio: Hippokratia, 2007.

(O “sindrome da esaurimento professionale”)

Cos'è

Uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale causato dallo stress cronico legato al lavoro.

Possibili effetti

Stanchezza, mal di testa, palpitazioni, disturbi dermatologici, cardiovascolari, del sonno e dell’umore.

Contribuiscono

Carico eccessivo, scadenze pressanti, scarsa autonomia, ambiente caotico, pochi riconoscimenti, aspettative irrealistiche.

48%

La percentuale di under-30 che crede di aver sofferto di burnout, in un sondaggio svolto tra 10.243 “knowledge workers” (persone che, semplificando, “lavorano con la mente”).

Sondaggio: Future Forum Pulse, 2023.

25%

La riduzione del rischio di malattie cardiovascolari in chi riesce a fermarsi, per via degli effetti positivi sulla pressione sanguigna.


Studio: Hippokratia, 2007.
La foto dell'ospite di questa puntata: Gianvito Fanelli.

Gestire meglio il tempo non significa seguire alla lettera dei principi universali. Si tratta invece di accettare che non possiamo fare tutto e di trovare, per questo, il miglior compromesso possibile: il ritmo che va bene per noi.


Ne abbiamo parlato con Gianvito Fanelli, designer e fondatore di Vita lenta (@vita________lenta), una pagina Instagram che diffonde tranquillità e bellezza sotto forma di foto e video, e che ironicamente ci ha messo molto poco a superare quota 310.000 follower.

«Com’è nata la tua esigenza di rallentare? Cos’hai sentito?»

«Allora, la mia esigenza di rallentare in realtà non c'è stata veramente, più che altro c'è stata una presa di consapevolezza del fatto che una vita lenta non fosse una vita più vuota. Dopo tanti anni a Milano mi ero abituato a una vita veloce e quasi non mi rendevo conto di quello che in realtà era un modello alternativo. Quindi più che un'esigenza io direi che è stata una presa di coscienza, ecco».

«Conosci molto bene sia Bari che Milano. Fino a che punto il contesto cambia le nostre abitudini? O se preferisci: staccare a Milano è davvero più difficile che staccare a Bari?»

«Sicuramente vivere a Milano, in determinati ambienti lavorativi, ti rende più difficile staccare. Una delle grandi risorse che io ho riconquistato al Sud è il mio tempo (è coinciso anche con il lavoro in remoto). Però il fatto di avere più tempo, ovviamente, mi permette di cambiare le mie abitudini, di introdurre nuove abitudini che io reputo sane, per esempio fare sport. Sicuramente vivere in una grande città, in particolare in una città come Milano, rende tutto più difficile. Oggi però, con il lavoro in remoto, è più facile che in passato. Quindi io credo che sia un grosso errore, per esempio, quello di far tornare tutti indiscriminatamente in ufficio».

«Nella newsletter abbiamo raccontato che andare sempre veloci fa male anche alla produttività. Com’è cambiata la tua vita professionale da quando hai deciso di rallentare? Dall’esterno sembri molto impegnato.»

«Sono totalmente d'accordo che andare veloci faccia male alla produttività. Infatti la vita lenta per me non vuol dire non lavorare o far calare la produttività, ma esattamente il contrario. Tanto che, prima che capissi questo concetto di vita lenta, io ero fissato (da designer) col concetto di noia.

La noia è sempre stata qualcosa che le persone hanno cercato di sconfiggere. Spesso mi capita di leggere “rimedia alla noia”. Ecco, la noia non è necessariamente una cosa negativa, secondo me.

Per quanto riguarda me, vivo un paradosso: da quando “Vita lenta” è diventato qualcosa più di una passione, sta diventando un lavoro. È sempre più difficile ritagliarmi del tempo libero. Secondo me, devo essere io in grado di organizzare il mio tempo e soprattutto di dire "no". E questo credo che lo possano fare tutti. Certo, non tutti quando il lavoro magari non è un lavoro che ci si può auto-organizzare. Lì è un po' più difficile, lo ammetto».

«Qual è la prima immagine che associ al concetto di pausa? Vietato dire “il mare” (per rispetto di tutte le persone che non ci vivono vicino)»

«Guarda, piacerebbe tanto dire il mare anche a me: lo posso vedere dalla piazza di Conversano, la mia città, ma mi è difficile andarci tutti i giorni. Quindi ti direi che per me il concetto di pausa è stare su una panchina e non avere assolutamente nulla da fare. Possibilmente non avere niente da fare dopo, cosa che, appunto, mi è sempre più difficile. Però, quando riesco a ritagliarmi quei momenti di vuoto, in realtà non mi sento vuoto: mi sento molto pieno».

«Tralasciando il conflitto di interesse, secondo te il successo di Vita lenta è una buona notizia? Ci dice che la sensibilità sta cambiando? O che c’è tanta insofferenza diffusa?»

«Secondo me sono vere entrambe le cose. Sicuramente è una buona notizia perché le persone si rendono conto che stavamo vivendo uno stile di vita insostenibile e in questo la pandemia ci ha dato qualcosa di buono (fra tutte le cose negative che invece ci ha portato). Dall'altro lato posso dire, anche leggendo i messaggi privati che ricevo su Instagram, che c'è dell'insofferenza.

Però sono convinto che ci siano i mezzi per uscirne: il primo è la consapevolezza. Poi ripeto, non tutti facciamo dei lavori che ce lo permettono, quindi non posso permettermi di dire che sia una cosa da fare che si possa fare facilmente. Però esserne consapevoli e provare a modificare delle abitudini sulle quali abbiamo maggiore controllo secondo me aiuta tanto».

LAVORA MEGLIO CON UN TIMER

LAVORA MEGLIO CON UN TIMER

LAVORA MEGLIO CON UN TIMER

Quante informazioni, vero?
Facciamo una pausa.

Questa si chiama “Tecnica del pomodoro”


È stata sviluppata da Francesco Cirillo, consulente e formatore, e prevede di usare un timer per dividere il lavoro in intervalli, separati da pause piccole e meno piccole.



Come molte altre tecniche, tende a dare i risultati migliori se adottata con costanza e consapevolezza. Ecco alcuni consigli che possono aiutarti a prendere la vita a velocità diverse.

Per rallentare, fermati.

Sembra controintuitivo, ma funziona. Se non sai da dove iniziare, fai così: ascolta “4'33”, di John Cage, poi cerca informazioni sul brano e riflettici sopra. Ti richiederà del tempo 🙂


Fai una lista di quello che ti piace fare.

Assegna alle attività un voto da 1 a 5, sulla base della loro importanza, e scrivi quante ore dedichi a ognuna. Sarà il primo passo per ridistribuire il tempo rispetto alle cose che vuoi fare davvero.

Immaginati tra 5 anni.

Cosa avrai perso, andando di fretta? E quali saranno le cose che sarai felice di aver fatto? Viste in prospettiva certe priorità si sgonfiano, mentre altre acquistano peso. Fermati a immaginare.

Fai questo esercizio.

Chiudi gli occhi e resta in silenzio per tre minuti. Fai caso a tutti i suoni che percepisci, anche i più irrilevanti (tipo la sedia che scricchiola). Prova a identificarne cinque, poi nota come ti senti.

Il filo continua

Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.