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La copertina di questa puntata: un telefono da cui escono delle pagine web in modo incontrollato, insieme al titolo "Cattive notizie".La copertina di questa puntata: un telefono da cui escono delle pagine web in modo incontrollato, insieme al titolo "Cattive notizie".La copertina di questa puntata: un telefono da cui escono delle pagine web in modo incontrollato, insieme al titolo "Cattive notizie".

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Oggi parliamo di dieta mediatica

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Il modo in cui consumiamo le informazioni incide sul nostro benessere mentale. Semplificando, dovremmo seguire gli stessi principi di un buon regime alimentare: qualità, moderazione, equilibrio. Ma farcela è difficile, per almeno tre ragioni.

1.

Tendiamo a preferire le cattive notizie: le clicchiamo molto più di quelle buone, anche perché l'evoluzione ci ha insegnato a reagire rapidamente le minacce.

2.

Sapendo questo, alcune redazioni scelgono di scrivere in modo sensazionalistico, per ottenere più visite (o ascolti, o visualizzazioni) e maggiori introiti pubblicitari.

3.

Ci informiamo molto sui social media, che sono progettati per farsi usare il più possibile: danno visibilità ai contenuti che ci piacciono, e quindi anche alle cattive notizie.

Queste dinamiche sono note da tempo, ma negli ultimi tre anni si sono fatte più insidiose, per i motivi che forse immagini.

I problemi troppo grandi sfuggono al nostro controllo. Abbiamo paura: allora leggiamo. La paura aumenta. Leggiamo ancora.

Internet ci ha insegnato a trovare ogni risposta su un motore di ricerca. Informarsi aiuta a prendere decisioni consapevoli, dalle più piccole (a che ora uscire per non fare tardi, dove andare in vacanza) a quelle più significative (in quale città trasferirsi, chi votare alle elezioni).

Ma a volte le risposte non ci sono. Nessuno può dire con certezza quando finiranno la guerra in Ucraina o la crisi energetica. Di fronte a problemi così grandi, le cose che sappiamo ci preoccupano: così cerchiamo nuove informazioni, che però rischiano di farci stare peggio. Specie se costruite per giocare con le nostre paure.

Uno stomaco che digerisce una quantità enorme di cattive notizie (scritta così sembra una cosa vomitevole, ma è un'llustrazione abbastanza innocente).
Una persona schiacciata sotto il peso di una gigantesca parola "Notizie".

Il modo in cui consumiamo le informazioni incide sul nostro benessere mentale. Semplificando, dovremmo seguire gli stessi principi di un buon regime alimentare: qualità, moderazione, equilibrio. Ma farcela è difficile, per almeno tre ragioni.

1.

Tendiamo a preferire le cattive notizie: le clicchiamo molto più di quelle buone, anche perché l'evoluzione ci ha insegnato a reagire rapidamente le minacce.

2.

Sapendo questo, alcune redazioni scelgono di scrivere in modo sensazionalistico, per ottenere più visite (o ascolti, o visualizzazioni) e maggiori introiti pubblicitari.

3.

Ci informiamo molto sui social media, che sono progettati per farsi usare il più possibile: danno visibilità ai contenuti che ci piacciono, e quindi anche alle cattive notizie.

Queste dinamiche sono note da tempo, ma negli ultimi tre anni si sono fatte più insidiose, per i motivi che forse immagini.

I problemi troppo grandi sfuggono al nostro controllo. Abbiamo paura: allora leggiamo. La paura aumenta. Leggiamo ancora.

Internet ci ha insegnato a trovare ogni risposta su un motore di ricerca. Informarsi aiuta a prendere decisioni consapevoli, dalle più piccole (a che ora uscire per non fare tardi, dove andare in vacanza) a quelle più significative (in quale città trasferirsi, chi votare alle elezioni).

Ma a volte le risposte non ci sono. Nessuno può dire con certezza quando finiranno la guerra in Ucraina o la crisi energetica. Di fronte a problemi così grandi, le cose che sappiamo ci preoccupano: così cerchiamo nuove informazioni, che però rischiano di farci stare peggio. Specie se costruite per giocare con le nostre paure.

Questo meccanismo va spezzato. Se non ci riusciamo, possiamo cadere in un comportamento che si è diffuso abbastanza da meritare un neologismo.

(Cioè sventura + scorrimento)

Cos’è

L’azione di passare troppo tempo a leggere notizie negative su internet, in maniera incontrollata.

Possibili effetti

Ansia, stress, attacchi di panico, depressione, insonnia, calo dell’attenzione, alimentazione irregolare.

Contribuiscono

I troppi contenuti disponibili (infodemia), l’allarmismo orientato ai click (clickbait), il modo in cui funzionano i social.

27%

La probabilità aggiuntiva di avere una brutta giornata dopo aver assorbito tre minuti di notizie negative al mattino.

Studio: Harvard Business Review

16,5%

La percentuale di persone, su un campione di 1.100 adulti, con un consumo di notizie “gravemente problematico”.

Studio: Health Communication

(Cioè sventura + scorrimento)

Cos’è

L’azione di passare troppo tempo a leggere notizie negative su internet, in maniera incontrollata.

Possibili effetti

Ansia, stress, attacchi di panico, depressione, insonnia, calo dell’attenzione, alimentazione irregolare.

Contribuiscono

I troppi contenuti disponibili (infodemia), l’allarmismo orientato ai click (clickbait), il modo in cui funzionano i social.

27%

La probabilità aggiuntiva di avere una brutta giornata dopo aver assorbito tre minuti di notizie negative al mattino.

Studio: Harvard Business Review

16,5%

La percentuale di persone, su un campione di 1.100 adulti, con un consumo di notizie “gravemente problematico”.

Studio: Health Communication
La foto dell'ospite di questa puntata: Francesco Oggiano.

L’eccesso di brutte notizie può innescare un meccanismo opposto al doomscrooling, ma altrettanto rischioso: la news avoidance, cioè il comportamento di chi smette di informarsi, parzialmente o del tutto, per evitare di provare malessere.

Ne abbiamo parlato con Francesco Oggiano (@fraoggiano), giornalista e autore di Digital Journalism, una newsletter sui media digitali molto ben fatta e altrettanto seguita. Ecco cosa gli abbiamo chiesto e le sue risposte in formato vocale.

«Come giornalista sei particolarmente esposto alle cattive notizie. Ti è mai successo di avere una reazione di rigetto? Di smettere di informarti per poterne sostenere il peso?»

«Forse solo una volta ho avuto una piccola reazione di rigetto. È stato... adesso non ricordo precisamente, tra marzo e aprile 2020, iniziava insomma il Covid, il lockdown. Davanti a tutte quelle informazioni da tutto il mondo che cambiavano ogni ora, ho avuto una settimana/dieci giorni in cui ho praticamente evitato, più o meno inconsciamente, tutte le notizie che stavano arrivando, e mi sono concentrato su notizie più positive, soprattutto sul lato del mio lavoro, dell'innovazione, del tech. Notizie che mi dessero speranza, insomma, nel mio futuro lavorativo e professionale.

Però a parte quelli non ho mai avuto grandi reazioni di rigetto. Forse perché appunto facendo questo lavoro da anni so più o meno contestualizzare la notizia, e le so dare l'importanza che merita».

«Si potrebbe pensare che certe notizie siano cattive per natura: una guerra, ad esempio, non può che farci stare male, a prescindere da come viene riportata. Che ne pensi?»

«Allora, "una guerra non può che farci stare male"... sì ma non credo che sia a prescindere da come viene raccontata. Ci sono modi e modi di raccontare una guerra e lo stiamo vedendo con quella in Ucraina. C'è il modo più (diciamo) superficiale e splatter, ovvero ogni giorno io ti posso bombardare di video, di sangue, di bombardamenti, di notiziole con un testo e un commento che passa in secondo piano rispetto all'immagine, e sono sicuro che sul breve termine farò molti click e molta audience (poi sul lungo tu giustamente ti stancherai e praticherai la news avoidance, cioè inizierai a evitare quel tipo di notizie perché sarai sommerso da quelle immagini che ti faranno stare male).

Oppure c'è un altro modo di raccontare una guerra che, ovviamente accanto all'elemento visivo, mette dei commenti, delle analisi e delle contestualizzazioni in cui ti faccio capire cosa sta avvenendo, con una maggiore importanza appunto all'approfondimento e alla contestualizzazione. E questo secondo me... non so se potrà farti stare meglio, ma sicuramente ti farà dominare di più quell'argomento, e una volta che noi conosciamo qualcosa sicuramente ne abbiamo meno paura. E se ne abbiamo meno paura sicuramente stiamo meno male».

«Abbiamo l'impressione che alcune redazioni sottovalutino i possibili effetti psicologici di raccontare “male” le cattive notizie. È un pregiudizio?»

«Non so se sottovalutiamo i possibili effetti psicologici, però di sicuro a volte c'è una tendenza, come dicevo prima, a mostrare magari le cattive notizie fini a sé stesse, bombardando il lettore di video, immagini e informazioni come dire... splatter, con la speranza soltanto magari di fare click e quindi aumentare il proprio modello di business. A livello personale non ho mai fatto corsi sui possibili effetti psicologici che le cattive notizie hanno su chi le legge, e questo mi piacerebbe molto. In effetti potrebbe essere un'ottima idea».

«Anche chi legge e condivide le cattive notizie ha una parte di responsabilità. Cosa possiamo fare per aiutare i media a raccontare i problemi in modo più consapevole?»

«Lato giornalisti, in America sta nascendo tutta la branca del "Constructive Journalism", ovvero un giornalismo costruttivo in cui accanto alla presentazione della notizia cattiva cerco di darti anche qualcosa di più costruttivo. Non ti do solo la brutta notizia fine a sé stessa, ma poi chiudo un pochino l'articolo con degli esempi costruttivi di chi magari nel mondo sta facendo qualcosa di positivo per risolvere quel problema di cui ho parlato. Il giornalismo costruttivo si fonda su due tempi che stanno all'interno dello stesso articolo: nel primo tempo ti spiego il problema, nel secondo ti spiego magari quali sono le possibili soluzioni, cosa va fatto e chi si sta muovendo per risolverlo.

Lato utenti, due cose: non condividere magari quelle notizie fini a sé stesse che potrebbero far stare male altre persone, ovvero potrebbero creare emozioni come rabbia, indignazione e tristezza che non sono positive, nel senso che non danno poi luogo a delle azioni (perché la rabbia in sé non credo sia negativa quando serve a smuoverci, a cercare di raggiungere i nostri obiettivi e di cambiare il mondo: ma io intendo quella rabbia contrita, che porta solo a un maggiore odio online e maggiore rabbia anche verso sé stessi). La seconda cosa che si può fare è ovviamente privilegiare quei media che presentano le brutte notizie con analisi, contesto e spiegazioni in maniera più professionale ed equilibrata possibile».

Quante informazioni, vero?
Facciamo una pausa.

Tiriamo il fiato


Ignorare quello che succede nel mondo non protegge dalle cattive notizie: ci rende solo più vulnerabili. Ma come abbiamo visto, anche informarsi troppo può farci male.

Per evitare i rischi di entrambi gli estremi, segui questi accorgimenti: dovrebbero aiutarti a costruire una dieta mediatica più equilibrata.

Informati solo in alcuni momenti della giornata.


Esaminare un articolo dietro l’altro può farci pensare di assumere il controllo, ma è un’impressione. Stabilisci delle finestre dedicate alle notizie e cerca di rispettarle: creerai dei vuoti in cui la mente potrà riposare.

Evita di farlo alla mattina presto, o prima di andare a dormire.

Non succede sempre, ma le brutte notizie possono condizionare l’umore e la qualità del sonno. Se i tuoi impegni te lo permettono, prova a iniziare e finire le giornate con la testa sgombra.

Diversifica le fonti, ma entro certi limiti.

Alternare i punti di vista è importante, ma non arriverai mai a sapere tutto di un argomento: ci sarà sempre un nuovo articolo da leggere. Se due buone fonti hanno coperto una notizia, chiediti se hai bisogno di una terza opinione.

Prima di leggere (e di condividere), fatti alcune domande.

Da dove viene il contenuto? La fonte è affidabile? E soprattutto: come ti fa sentire? Se ti crea una forte reazione emotiva – rabbia, tristezza, paura –, potrebbe essere stato scritto per giocare col tuo stato d’animo.

Il filo continua

Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.