Anestesia emotiva: che cos’è, quali sono le cause e le soluzioni
L'anestesia emotiva si riferisce alla difficoltà o incapacità di provare emozioni, spesso risultato di traumi o stress prolungato; esplora cause e percorsi di recupero

Anestesia emotiva: una definizione
L'anestesia emotiva è l'incapacità acquisita di contattare le proprie emozioni e di esprimerle correttamente. La persona sperimenta forti emozioni, ma la mente si rifiuta di riconoscerle, elaborarle e gestirle come meccanismo di difesa. L'anestesia va distinta da altre condizioni quali:
- L'apatia: chi è apatico sperimenta una riduzione o assenza di emozioni. Chi è anestetizzato, al contrario, prova emozioni intense ma le blocca attivamente.
- L'alessitimia (mutismo emotivo): letteralmente, l'alessitimia è "l'incapacità di descrivere ed esprimere le emozioni". L'alessitimia è una caratteristica che si lega all'anestesia emotiva: il soggetto non riconosce le emozioni che prova e non sa gestirle.
- L'anedonia: la ridotta o totale incapacità di provare piacere.

Effetti dell’anestesia emotiva
Chi vive una condizione di anestesia emotiva, non riesce ad approcciarsi allo spettro emotivo e ad agire di conseguenza. Può allora sviluppare problematiche di tipo sociale e relazionale, come difficoltà a intrattenere legami duraturi con gli altri.

Può altresì sperimentare sintomi a breve e a lungo termine che comprendono:
- attacchi di panico;
- attacchi di rabbia;
- pianto incontrollato;
- ipertensione;
- mal di testa continui;
- dermatiti o altre problematiche legate alla pelle.
Queste reazioni psicosomatiche sono l’effetto naturale di una "compressione": ignorando o mettendo a tacere le proprie emozioni, il soggetto le vede poi "scoppiare" in maniera imprevista e con enorme violenza sul piano fisico.
A lungo termine, l’anestesia emotiva può portare difficoltà nello sviluppo dell’empatia ma anche dal punto di vista del dialogo interiore. Questo dialogo si trova infatti ad essere privo di riferimenti al vissuto emotivo o alla sfera emozionale in generale.
Così, chi prova anestesia emotiva può arrivare a isolarsi socialmente o a sviluppare relazioni disfunzionali.
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Come si comporta chi prova anestesia emotiva?
Chi sperimenta questa condizione, spesso soffre di patologie pregresse depressione o disturbi alimentari. In alternativa, potrebbe avere disturbi psicotici e sperimentare derealizzazione e depersonalizzazione.
In psicologia, si possono dividere le emozioni in due grandi categorie: emozioni primarie (cioè quelle che realmente viviamo in rapporto ad un evento) ed emozioni parassite (quelle con cui "copriamo" l’emozione primaria).
Chi vive anestesia emotiva, potrebbe arrivare a coprire le emozioni primarie con emozioni parassite come rabbia, gelosia, invidia e sviluppare comportamenti antisociali pericolosi per se stesso e per il prossimo.

Cause e soluzioni: perché si sviluppa il blocco e come uscirne
Tra le cause più comuni di anestesia emotiva, ricordiamo:
- patologie pregresse come depressione, disturbi psicotici, dissociativi o dell’alimentazione;
- vissuti traumatici, che hanno portato il soggetto a staccarsi dallo spettro emotivo per sopportare un evento particolarmente stressante;
- ambiente educativo troppo rigido e violento.
Come è possibile trattare l'anestesia emotiva?
L’anestesia emozionale può essere trattata, attraverso un percorso terapeutico che vada ad individuare la causa della problematica e a risolverla alla radice. Si tratterà, per esempio, di lavorare sul vissuto traumatico che ha innescato la condizione; o, in alternativa, di insegnare all’individuo come rapportarsi alle proprie emozioni, riconoscendole come necessarie ed esprimendole in maniera corretta.
Ricordiamo che l’anestesia emozionale non è considerata una patologia, ma può accompagnarsi ad altre psicopatologie o portare allo sviluppo di reazioni psicosomatiche anche gravi. Se pensi di aver bisogno del supporto di un esperto, Serenis può aiutarti grazie alla psicoterapia online.
Bibliografia
The Costs of Hiding and Faking Emotions: The Case of Extraverts and Introverts. — The Journal of psychology, 150(3), pp. 342-357
Seger-Guttmann, T., Medler-Liraz, H.