Disturbo oppositivo provocatorio: definzione e trattamenti
Il disturbo oppositivo provocatorio si manifesta attraverso delle modalità di interazione e comportamento ricorrenti, che riguardano sia l’umore, sia la tendenza alla polemica.

Che cos’è il disturbo oppositivo provocatorio
Il disturbo oppositivo provocatorio è una sindrome che viene classificata e descritta all’interno del DSM-5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) tra i disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta.
Quali sono i sintomi del disturbo oppositivo provocatorio?
Il disturbo oppositivo provocatorio si manifesta attraverso delle modalità di interazione e comportamento ricorrenti, che riguardano sia l’umore, spesso irritabile, sia la tendenza alla polemica, alla provocazione della lite o alla vendetta.
Secondo il DSM-5, l’umore di questi ragazzini molte volte verte verso la collera, anche se ci sono molti casi in cui i comportamenti disfunzionali si verificano anche senza un corrispondente stato d’animo. Si definisce umore negativo anche quello irritabile, caratterizzato da permalosità, tendenza a contraddire gli altri e a mostrare risentimento.
I pazienti con disturbo oppositivo provocatorio, inoltre, hanno un rapporto conflittuale con l’autorità, tanto che non è raro che vi entrino in conflitto. Per figura autoritaria, nel caso di bambini o adolescenti, possono essere intesi gli adulti.
A volte questi bambini mettono in atto delle sfide dirette verso le figure autoritarie e sono propensi a incolpare gli altri quando sbagliano o per un loro comportamento scorretto.
Un altro tratto distintivo, come accennavamo, è la propensione a essere vendicativi, anche se occorre fare attenzione a considerare questo elemento, dal momento che alcuni screzi e piccole discordie sono normali e comuni a tutti i bambini e adolescenti. Per questo motivo è importante tenere conto della frequenza e dell’intensità di questi episodi.
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Quanto dura il disturbo oppositivo provocatorio?
Il DSM-5, tra i criteri che determinano la possibilità di diagnosticare un disturbo oppositivo provocatorio, include anche un criterio temporale, che stabilisce che il pattern di sintomi debba essere presente in modo costante per almeno 6 mesi.
Tipicamente l’esordio avviene in età scolare, quindi durante l’infanzia o la prima adolescenza, anche se in realtà si tratta di una problematica che può trascinarsi oltre questo periodo e addirittura evolvere in qualcos’altro.
Soprattutto è frequente il passaggio da disturbo oppositivo provocatorio a disturbo della condotta, specialmente nei bambini in cui le prime manifestazioni di questo secondo disturbo avvengono in età precoce.
Altre problematiche che si possono sviluppare crescendo sono l'ansia e la depressione.
Cause del disturbo oppositivo provocatorio
Le possibili cause per lo sviluppo del disturbo oppositivo provocatorio sono:
- fattori temperamentali: una personale difficoltà a elaborare e gestire le emozioni, specialmente in situazioni stressanti, può causare un’intolleranza alla frustrazione e accentuare la reattività emotiva, predisponendo il bambino a sviluppare il disturbo;
- fattori ambientali: spesso le famiglie dei bambini e dei ragazzi che presentano un disturbo oppositivo provocatorio sono accomunare da un’educazione perseguita con un modello estremamente rigido oppure incoerente o che, ancora, non riconosce l’emotività del bambino e l’importanza del suo ruolo all’interno della famiglia;
- fattori genetici e fisiologici: gli studi hanno rilevato che i bambini con disturbo oppositivo provocatorio presentano delle particolari caratteristiche che potremmo riconoscere come marker biologici, ovvero segni che si accompagnano a questo disturbo (anche se poi risultano presenti anche nei ragazzi con disturbo della condotta). Precisamente si tratta di livelli bassi di frequenza cardiaca e reattività alla conduttanza cuanea e del cortisolo basale, oltre alla possibilità di anomalie nell’amigdala e nella corteccia prefrontale.
Disturbo oppositivo provocatorio: terapia
Il trattamento deve necessariamente essere di stampo multidisciplinare, ovvero implicare il coinvolgimento di più figure professionali, che possano collaborare per dare ciascuna il suo contributo e intervenire nei diversi contesti che sono significativi nella vita del bambino.
Per quanto riguarda la psicoterapia, l’approccio cognitivo comportamentale risulta il più adeguato ed efficace dal momento che si focalizza sulle modalità relazionali che il bambino porta avanti nelle diverse situazioni che si trova a dover fronteggiare.
Di questo tipo di intervento fa parte anche la psicoeducazione, fondamentale per aiutare il paziente a comprendere meglio se stesso e apprendere strategie specifiche che possano aiutarlo a gestire meglio le sue emozioni. Ma questo tipo di processo è rivolto anche ai genitori, che possono beneficiare delle informazioni precise fornite da un professionista per trovare un senso ai comportamenti del figlio e imparare ad affrontare i momenti di crisi in maniera adeguata, seguendo uno schema sempre coerente e, quindi, efficace.
Successivamente alla prima fase psicoeducativa, viene una seconda parte più improntata all’intervento vero e proprio, che si rivolge su due fronti. Nei confronti degli adulti significativi per il paziente, come i docenti e i genitori, viene svolta un’attività di training, pianificata secondo precisi protocolli e tempistiche in modo da determinare l’apprendimento di nuove abilità, modalità relazionali ed educative che possano sia riconoscere il bambino venendo incontro ai suoi bisogni ma anche prevenire e ridurre la frequenza dei comportamenti problema.
Il bambino invece viene invitato a lavorare sulla sua emotività e sulla gestione delle condotte problematiche, tenendo sempre presente l’obiettivo finale di tutto il percorso, ovvero il benessere del paziente a 360 gradi.
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