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La copertina di questa puntata, insieme al titolo "Terapia di gruppo indie".La copertina di questa puntata, insieme al titolo "Terapia di gruppo indie".La copertina di questa puntata, insieme al titolo "Terapia di gruppo indie".

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Oggi parliamo di musica

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Ci sono momenti che sembrano fatti per alcune canzoni, e viceversa. Forse ti è successo: senti il bisogno di un brano, di un brano specifico tra i milioni possibili, e ti ritrovi ad ascoltarlo a ripetizione, abbastanza da perdere il conto.

1.

La qualità del brano è secondaria. Di solito alla base c’è il coinvolgimento emotivo: il modo in cui quella particolare canzone ci fa sentire in quel particolare momento.

2.

E magari quella canzone non ci fa nemmeno stare bene. Può essere triste quanto noi, o arrabbiata quanto noi. Conta solo la comprensione reciproca: noi la capiamo e lei ci capisce.

3.

Perdersi tra le note, quindi, è un ottimo modo per ritrovarsi. Ascoltando tanto il brano stiamo ascoltando meglio noi.

Com'è possibile?

La musica attiva le aree del cervello che controllano le emozioni.

Nel 2001, Anne J. Blood e Robert J. Zatorre usarono la tecnologia PET per capire cosa succede al nostro cervello quando ascoltiamo un pezzo che ci dà emozioni piacevoli. Dimostrarono un aumento del flusso sanguigno nelle regioni che controllano la ricompensa, la motivazione e l'eccitazione: proprio quello che avviene in risposta ad altri stimoli che inducono euforia, come il sesso e il cibo.

Sempre nel 2001, Louis A. Schmidt e Laurel J. Trainore giunsero a conclusioni simili, scoprendo che la musica induce un'attività cerebrale frontale coerente con le emozioni indotte attraverso altre modalità. In particolare, le canzoni associate alla gioia aumentano l’attività della regione anteriore sinistra, mentre quelle associate alla tristezza aumentano l’attività della regione anteriore destra.

Del resto, l’essere umano usa la musica a scopo curativo da almeno 7.000 anni, anche se con metodi più artigianali di quelli moderni. E nel tempo ci ha costruito sopra una disciplina.

Ci sono momenti che sembrano fatti per alcune canzoni, e viceversa. Forse ti è successo: senti il bisogno di un brano, di un brano specifico tra i milioni possibili, e ti ritrovi ad ascoltarlo a ripetizione, abbastanza da perdere il conto.

1.

La qualità del brano è secondaria. Di solito alla base c’è il coinvolgimento emotivo: il modo in cui quella particolare canzone ci fa sentire in quel particolare momento.

2.

E magari quella canzone non ci fa nemmeno stare bene. Può essere triste quanto noi, o arrabbiata quanto noi. Conta solo la comprensione reciproca: noi la capiamo e lei ci capisce.

3.

Perdersi tra le note, quindi, è un ottimo modo per ritrovarsi. Ascoltando tanto il brano stiamo ascoltando meglio noi.

Com'è possibile?

La musica attiva le aree del cervello che controllano le emozioni.

Nel 2001, Anne J. Blood e Robert J. Zatorre usarono la tecnologia PET per capire cosa succede al nostro cervello quando ascoltiamo un pezzo che ci dà emozioni piacevoli. Dimostrarono un aumento del flusso sanguigno nelle regioni che controllano la ricompensa, la motivazione e l'eccitazione: proprio quello che avviene in risposta ad altri stimoli che inducono euforia, come il sesso e il cibo.

Sempre nel 2001, Louis A. Schmidt e Laurel J. Trainore giunsero a conclusioni simili, scoprendo che la musica induce un'attività cerebrale frontale coerente con le emozioni indotte attraverso altre modalità. In particolare, le canzoni associate alla gioia aumentano l’attività della regione anteriore sinistra, mentre quelle associate alla tristezza aumentano l’attività della regione anteriore destra.

Del resto, l’essere umano usa la musica a scopo curativo da almeno 7.000 anni, anche se con metodi più artigianali di quelli moderni. E nel tempo ci ha costruito sopra una disciplina.

(Per risultati degni di nota)

Cos'è

L'uso della musica o dei suoi elementi (ritmo, suoni, strumenti) a fini preventivi, riabilitativi o terapeutici.

È utile da adolescenti

Tra le altre cose, viene usata per trattare l’aggressività, l’isolamento sociale, i disturbi alimentari, d’ansia, dell'umore e dell'apprendimento.

Ma anche da adulti

Può aiutare le persone che soffrono di depressione, schizofrenia, PTSD, malattia di Parkinson, demenza, problemi cardiaci e non solo.

21%

La riduzione del dolore cronico che è possibile raggiungere ascoltando musica, secondo uno studio condotto su 50 persone affette da osteoartrite, problemi discali e artrite reumatoide.

Ricerca: ScienceDaily

57%

La percentuale di americani che usa la musica per fare fronte alle situazioni stressanti, secondo un sondaggio condotto su circa 3400 persone over-14.

Sondaggio: Statista

(Per risultati degni di nota)

Cos'è

L'uso della musica o dei suoi elementi (ritmo, suoni, strumenti) a fini preventivi, riabilitativi o terapeutici.

È utile da adolescenti

Tra le altre cose, viene usata per trattare l’aggressività, l’isolamento sociale, i disturbi alimentari, d’ansia, dell'umore e dell'apprendimento.

Ma anche da adulti

Può aiutare le persone che soffrono di depressione, schizofrenia, PTSD, malattia di Parkinson, demenza, problemi cardiaci e non solo.

21%

La riduzione del dolore cronico che è possibile raggiungere ascoltando musica, secondo uno studio condotto su 50 persone affette da osteoartrite, problemi discali e artrite reumatoide.

Ricerca: ScienceDaily

57%

La percentuale di americani che usa la musica per fare fronte alle situazioni stressanti, secondo un sondaggio condotto su circa 3400 persone over-14.

Sondaggio: Statista

Non si tratta soltanto di ascoltare: molti modelli clinici si basano sull’interazione con gli strumenti, o per dirla in modo più semplice sul fare musica. Ma per chi vive di questo, la situazione è più sfumata: alcuni sondaggi condotti nel Regno Unito e negli Stati Uniti hanno associato il lavoro nell’industria musicale a tassi di stress e depressione più alti della media.

Ne abbiamo parlato con California e Fausto Lama, che poi sono i Coma_Cose: un duo indie-pop-rap che dal 2016 a oggi ha collezionato centinaia di date e diversi dischi di platino. Ma anche due persone che stanno insieme e che hanno pensato di lasciarsi, a un certo punto (una cosa che capita solo alle persone che stanno insieme).

«L'addio, il singolo che avete presentato a Sanremo 2023, venne raccontato come una seduta di terapia messa in musica. È stato difficile portare su quel palco un pezzo così personale?»

Fausto: «Non saprei darti una risposta. Personalmente faccio da sempre musica per necessità. Alla fine si tratta di esteriorizzare qualcosa di molto intimo nella speranza che altri ci si rivedano e che tutto questo abbia come risultato il sentirsi meno soli. Per me è così da sempre: non riesco a comunicare qualcosa che non sia personale o autobiografico. Nella musica cerco stimoli, cerco verità, altrimenti subentra la noia, e mi dispiacerebbe relegare la musica, che è una delle poche cose che mi salva, mi calma e mi riallinea con il mondo, a qualcosa di meccanico, poco spontaneo o addirittura forzato».

«In una delle interviste di quelle settimane, avete dichiarato che vi ha salvato guardarvi in faccia. Secondo voi, è la musica che è terapeutica? O è la verità che ci si mette dentro?»

California: «Fare il cantante è un lavoro a tutti gli effetti, fatto di scadenze, orari, responsabilità, impegno... e l'aspetto artistico che si incontra è molto legato alla performance e alla capacità di comunicare qualcosa. Fare musica, invece – e parlo dell'aspetto creativo – è un lavoro totalmente diverso. Forse proprio perché non è un lavoro: è una necessità. È anche qualcosa legato agli umori che stai vivendo, qualcosa che quando succede alla fine ti stupisce sempre.»

«Pensando al percorso di una canzone, c'è il momento in cui la scrivete; quello in cui la incidete; quello in cui imparate a conoscerla, ascoltandola e riascoltandola; quello in cui il pubblico la canta insieme a voi. Le emozioni che vi lascia cambiano insieme ai momenti? O in fondo è sempre lo stesso brano?»

Fausto: «Mi hanno sempre affascinato le persone che fanno sport estremi. Mi piace il concetto di cercare dentro di sé sostanze come l'adrenalina, la serotonina... qualcosa che hai già dentro ma che devi tirare più fuori. Questo però ti dà dipendenza, e quando capisci un meccanismo lo vuoi continuamente replicare. Ecco, per me fare musica è così, e tutte le volte che mi siedo al pianoforte, o abbraccio la chitarra, o mi metto a fare una base al computer cerco quella sensazione lì, che so che mi appaga, quel momento/istante di creatività che so che mi da quella scintilla lì. Che poi è anche la ricerca della canzone perfetta, quella così perfetta che poi magari non servirà neanche farne altre, anche se poi sai che non è così. E quindi cerchi appunto quel momento lì, quando succede quella magia che è un lampo, dura pochissimo, è un istante ma che poi sai che ti basterà, anche se l'effetto dura poco e ti rimetterai al pianoforte di nuovo a cercare quella sensazione.

Poi le canzoni dal momento che si va in studio diventano un'altra cosa, qualcosa di più rarefatto, e poi quando diventano pubbliche rimbalzano sulle vite delle persone e ti ritornano in mille pezzettini, e sono un'altra cosa, assumono un altro significato che magari neanche io che l'ho scritto immaginavo. Forse qualcosa di meno intimo, di più collettivo, che poi nel momento del live trova la sua manifestazione migliore».

«Fare musica da coppia può sembrare romantico, finché non si pensa a tutta quella parte del lavoro più pratica-faticosa-logorante, che alla lunga può fare male alla relazione. Parafrasando Homer Simpson, nel vostro caso la musica è stata sia la causa che la soluzione?»

California: «Non so. Siamo in primis due persone molto diverse, con età e percorsi diversi, e per certi versi proprio agli antipodi. Abbiamo fondato la nostra relazione fin dall'inizio sull'aiutarsi reciprocamente: prima era il negozio, poi è diventata la musica, ma per noi è importante avere un piano comune, un progetto di vita, anche perché altrimenti forse non avrebbe senso una relazione così duratura, forse. Sicuramente vivere insieme 24/h è molto pesante, ma allo stesso tempo sappiamo che l'altro o l'altra è sempre pronto a capire, perché vive le stesse problematiche, e questo è sicuramente un grande privilegio».

«Forse inevitabile, ma si parla sempre di voi come un'entità unica, invece che come due persone che scelgono di stare insieme (e questa intervista non fa eccezione). Per rimediare: c'è un disco che riesce sempre a fare stare meglio California? E a fare stare meglio Fausto?»

California: «Mi fa stare meglio "The Velvet Underground & Nico". È un disco che quando ho bisogno di certezze e di un abbraccio in qualcosa che so che mi piace nel profondo, mi ascolto quel disco lì e tutto torno a posto».

Fausto: «Personalmente "The Piper at the Gates of Dawn" dei Pink Floyd (il primo disco ufficiale dei Pink Floyd). Da lì ho scoperto la figura di Syd Barrett, che per me è stata una specie di epifania creativa. C'è qualcosa di unico nel suo percorso, nella sua musica, nel suo modo di fare canzoni, qualcosa che penso sia purissimo. Oggi comunque per me la musica è anche un lavoro, quindi vivo le dinamiche dello show business. Però appunto quando voglio stare bene, quando voglio ricordarmi perché faccio questo mestiere, le cose a cui tengo, le motivazioni che mi spingono a fare musica, mi riascolto quel disco e trovo sempre la strada giusta».

Quante informazioni, vero?
Facciamo una pausa.

È ora dell'outro


Ci sembra di avere imparato che la musica e la salute sono più affini di quanto non si creda, forse perché la musica e l’essere umano sono più affini di quanto non si creda.

Partendo da qui, abbiamo messo insieme quattro compiti per casa.

Scegli due brani della tua infanzia.

(Vanno bene anche le sigle dei cartoni). Ascoltali in un luogo in cui ti senti a tuo agio, prendendo nota delle sensazioni e dei ricordi. Come ti fanno sentire?

Partecipa a un concerto.

A meno che la folla non ti metta a disagio, cantare insieme a tante altre persone è un’esperienza che può amplificare quelle emozioni che ci fanno stare in bene in cuffia.

Tieni stretti i tuoi gusti.

Esplorare nuovi generi è una buona abitudine, ma la musica aiuta quando tocca nel profondo. Se i tuoi gusti non ti sembrano abbastanza “popolari”, non importa: conta solo che funzionino per te.

Ogni tanto, spegni la musica.

Ci sono momenti e situazioni in cui abbiamo bisogno di lasciare spazio a quello che ci passa per la mente. In quei casi il suono del silenzio è preferibile anche a "Sound of Silence".

Il filo continua

Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.